Padre Patrick Desbois, il prete-investigatore che riporta alla luce le stragi dei nazisti in Russia

di Riccardo Panzetta*
Pubblicato il 28 Maggio 2009 - 16:09| Aggiornato il 6 Marzo 2015 OLTRE 6 MESI FA

Padre Patrick Desbois ha 53 anni, è un prete francese che ha consacrato la sua vita ad una missione: riportare alla luce le atrocità commesse dalle squadre della morte naziste, le sanguinarie “Einsatzgruppen”, colpevoli di aver massacrato almeno un milione e mezzo di ebrei e zingari nei remoti villaggi dell’ex Unione sovietica tra il 1941 e il 1944.

E dato che il suo lavoro consiste nel ricucire la memoria e I ricordi dei testimoni, padre Desbois non ha molto tempo per portare a termine la sua impresa. Secondo i suoi calcoli, ha a disposizione ancora sei o sette anni. Le sue fonti rischiano di morire, data l’età avanzata.

«La mia è una lotta contro il tempo. Abbiamo pochi anni, prima che tutti i sopravvissuti muoiano. Molti sono anziani, altri sono in pessime condizioni di salute. Dobbiamo moltiplicare gli sforzi per trovare tutti i reduci».

Nell’ultimo decennio, padre Desbois e il suo team della Yahad-in-Unum, un’organizzazione francese che si occupa dei rapporti tra ebrei e cristiani, hanno raccolto più di mille testimonianze dei sopravvissuti allo sterminio di massa nazista sul fronte orientale. L’attività di investigazione storica di Desbois ha portato a ritrovare il sito di Bodganivka, in Ucraina, dove erano sepolti i resti di 42.000 ebrei. Le sue ricerche costringono a rivedere il numero delle vittime dell’Olocausto: ben 500.000 morti in più.

La sua crociata, ispirata dal ricordo del nonno deportato in un campo tedesco in Ucraina durante la Seconda guerra mondiale, è iniziata nove anni fa e ha permesso di far riemergere dal dimenticatoio uno degli episodi più controversi degli anni del conflitto: quello del mattatoio realizzato dai nazisti nell’ex Unione sovietica.

La ragione di questo lavoro è semplice: restituire dignità ai morti dimenticati, uccisi selvaggiamente dai nazisti. Ma c’è anche un altro motivo: recuperare la memoria è un metodo per prevenire un nuovo olocausto. «Non possiamo permettere che l’Europa dimentichi i suoi morti o che lasci abbandonate migliaia di tombe senza nome. Quello che facciamo – ha proseguito padre Desbois – per la Cambogia o per il Darfur, dobbiamo farlo anche per i morti del nostro continente. E siamo già in ritardo di 60 anni».

L’Ucraina è il secondo paese, dopo la Polonia, per numero di stragi naziste. Altre 500.000 persone sono state uccise in Bielorussia, mentre è ancora difficile stimare con precisione il numero di ebrei sterminati in Russia.

Ciò che rende ancor più sconvolgente il massacro nell’Est Europa è il fatto che non venne condotto attraverso i campi di concentramento. Ma grazie a piccole unità mobili con armamento leggero. Il principio d’azione era semplice: un proiettile, un ebreo. Queste squadre della morte, che hanno anticipato la polizia di Heinrich Himmler predisposta per la “Soluzione finale”, erano composte di soldati tedeschi ma anche da civili. L’unico ordine era quello di uccidere ogni nemico del Terzo Reich: ebrei, zingari, comunisti, disabili, omosessuali.

Il modus operandi era elementare: quando l’ufficiale di turno arrivava in un villaggio, si dirigeva dalle autorità locali e poneva la stessa domanda “Quanti ebrei ci sono?”. Gli ebrei, considerati minoranza etnica, erano registrati in un elenco speciale. Trovarli era semplice e così venivano raccolti, giustiziati e gettati in una fossa comune.

«Il giorno stesso dell’esecuzione – racconta padre Desbois – le squadre della morte organizzavano un festino, intrattenendosi con le prostitute che si portavano dietro». In alcuni villaggi le donne ebree diventavano schiave del sesso, erano stuprate in continuazione. E se una  rimanevano incinta veniva uccisa senza pietà.

La ricerca di padre Desbois è molto complicata perché, a differenza di quanto è accaduto in Germania e in Polonia dove i campi di concentramento e di sterminio sono testimonianza e simbolo delle atrocità inflitte dai nazisti, in Europa dell’Est non v’è traccia visibile di ciò che è successo.

Molti preferiscono non parlarne, altri non ricordano, altri ancora si vergognano a raccontare quello che hanno vissuto. E quelli che parlano lo fanno con sconforto perché si chiedono: “Chi potrebbe interessarsi a queste cose?”.

Molti dei villaggi teatro delle atrocità delle squadre della morte oggi versano  in condizioni drammatiche. Mancano le strade, non c’è acqua corrente, le condizioni igieniche sono precarie. Si vive in condizioni di estrema povertà. E senza padre Patrick Desbois nessuno si sarebbe posto il problema di scavare nel passato per recuperare la memoria, per dare un nome ai morti e giustizia al ricordo.

*Scuola superiore Giornalismo Luiss