Pd/ La quadriglia dei nomi e il congresso a testa in giù. Franceschini, Bersani, Serracchiani…cercando un leader come si cerca una sestina al Superenalotto

Pubblicato il 1 Luglio 2009 - 17:24 OLTRE 6 MESI FA

Uno giovane, possibilmente mai visto finora. Infatti, meno si è visto e meno errori ha compiuto. Però anche uno che possa competere in visibilità e popolarità. Anzi, no: meglio una giovane. Così, declinato al femminile, il cambiamento è più tondo. Però anche una donna che non rappresenti solo le donne in quanto tali perchè non è che poi le donne votino le donne, appunto in quanto tali. Macchè, ci vuole uno tosto, perchè è lunga la sequenza di segretari “mosci”, a partire da Occhetto se qualcuno ancora se lo ricorda. E Martinazzoli era un brav’uomo, però moscio da morire. Tosto sì, ma che prima non c’era. Prima quando? Prima della sconfitta, ma da quale sconfitta si parte? O prima dell’Ulivo o prima dell’Unione o prima di Dc e Pci o di Ds e Margherita? Ma uno o una che prima non c’era, che ci capisce? E cosa deve capire, deve solo sentire quel che dice la gente. Quale gente? La gente spesso sta con quell’altro. La “nostra” gente. E che dice la nostra “gente”? Bhe, ognuno dice la sua…Questo, allo stato, è più o meno il dibattito congressuale del Pd. Non quello che raccontano i giornali e le tv, proprio quello che si svolge davvero e dal basso, nei circoli e alla base. Più che la ricerca di un segretario e di un leader è la ricerca di una combinazione vincente al Superenalotto della politica: ognuno si gioca i numeri che gli piaccioni o lo ispirano. Con le stesse possibilità di indovinare la sestina vincente.

L’altro dibattito, quello ufficiale, narra del disporsi dei nomi. Con Dario Franceschini c’è Piero Fassino e anche Cesare Damiano e Tiziano Treu e Filippo Penati e David Sassoli e un po’, solo un po’, Romano Prodi e, senza mischiarsi con Prodi e non in prima fila, Walter Veltroni. E tanti altri, in prima fila la new entry Debora Serracchiani. Una ragazza, una militante, un’elettrice, una cittadina che è di fatto già ai vertici del Pd e che racconta di sè: “Fino a poco tempo fa Moro e Berlinguer si sovrapponevano nella mia percezione della politica…Sto con Franceschini perchè è simpatico…Welfare, salario, laicità: cosa voglio? Che venga ascoltata la gente…”. Grande appeal e successo di pubblico della Serracchiani in nome del dogma per cui l’idraulico migliore è quello che non distingue un tubo da una valvola. Dall’idraulico nessun elettore del Pd accetterebbe simili credenziali, ma dal gruppo dirigente del domani migliore, invece sì. Fatta la tara del “serracchianuovismo”, malattia giovanile del sempre infante riformismo di sinistra italiano, di Franceschini e del suo schieramento si può intuire…Intuire e non sapere che: in qualche modo si vuol tenere in piedi l’aspirazione e l’obiettivo di essere il partito riformista alternativo alla destra, il partito e non solo il partito, caso mai il meno piccolo, di un’alleanza elettorale che metta insieme tutto e il contrario di tutto purchè siano anti berlusconiani. Si può poi intuire la voglia di essere sinistra e centro in modo contemporaneo all’epoca in cui si vive, la voglia di riforme che non siano solo la copertura degli interessi delle corporazioni e ceti più vicini al Pd e si può anche intuire la voglia di contendere a Di Pietro, bonificandole dall’estremismo, la questione etica e morale. Intuire, perchè discorsi e interviste di Franceschini e del suo schieramento nulla contengono di preciso su questione salariale, e cioè a chi sottrarre risorse e reddito per destinarle al lavoro dipendente e a quale lavoro dipendente. E nulla sul nuovo Welfare o sulla scuola o su qualunque tema che possa costringere il Pd a dire a se stesso chi è e cosa è. Insomma, gran dibattito sul come non perdere le elezioni con grande cautela a parlare del come provare a vincerle. Come dice la Melandri: “Tutti corrono a indossare una maglietta e poi il dibattito finisce lì, altro non si sceglie”.

L’altro segretario candidato è Pier Luigi Bersani. Con lui D’Alema e Marini ed Enrico Letta e Giorgio Tonini e un po’, solo un po’, Romano Prodi. Con Bersani, più o meno, la gran parte dei nomi conosciuti, del ceto politico del Pd. Questa dovrebbe essere una forza, una manifestazione di affidabilità. E invece nel Pd e nel suo “indotto” d’opinione è vissuto come handicap. Opinione vuole che, se c’è D’Alema, c’è qualcosa di vecchio. Figurarsi Marini… Di Bersani e del suo schieramento si intuisce che all’idea del partito “autosufficiente”, insomma riformista se non da solo con chi ci sta e peggio per chi non ci sta, se mai ci hanno creduto, non ci credono più. Meglio, molto meglio una sana e realistica strategia delle alleanze: recuperare la sinistra di Vendola, trattare con l’Udc di Casini, aspettare che Di Pietro si sgonfi…Insomma prepararla davvero l’unica alternativa possibile a Berlusconi, con quel che c’è, con quel che passa il convento della geografia politica e della società italiana. Si intuisce poi anche una concretezza governativa, se e quando mai…Un rivolgersi con competenza alle categorie, mica solo al cittadino come in buona fede fa Franceschini.

In entrambi i casi si intuisce ma non si sa. Si sa invece del congresso dietro le quinte: Veltroni che non scende in campo per non far danni al Pd, perchè qualcuno il Pd, se necessario lo scinderebbe pure. Rutelli e i suoi “volenterosi”, vigili ma non è chiaro su cosa. I prodiani assorbiti dalla sindrome del rancore, non la perdonano agli altri la caduta di Prodi, non a Veltroni la seconda, non a D’Alema la prima. Sembrano i socialisti dopo la caduta di Craxi. Si sa che alla prima conta, quella degli iscritti al partiti, Bersani parte favorito. Ma poi ci sono le primarie ad ottobre, quando votano tutti i simpatizzanti, allora Franceschini recupera.

Tra il si sa e il non si sa, qualcosa si vede. Il Pd ha già innovato molto, ha preso il modo e il senso di un congresso e lo ha rovesciato. Un congresso si fa, si faceva, mettendo nero su bianco quel che si voleva fare. Su questo nero su bianco si votava, ci si contava e si inviavano delegati al congresso per eleggere il gruppo dirigente e stabilire la natura e gli obiettivi di un partito. Il Pd fa tutto il contrario: nero su bianco non mette nulla e usa il congresso come un gigantesco, partecipato e democratico sondaggio d’opinione. C’è del metodo e c’è una ragione: a volerlo fare davvero un partito riformista c’è la certezza che non tutti quelli che votano Pd vedrebbero con le riforme difesi i loro interessi. Ci sarebbe anche la possibilità di un cambio, di un’osmosi di elettorato. Troppo rischioso, ci vuole troppo coraggio. Volti nuovi o vecchi, il Pd gioca da decenni con la tattica dello zero a zero. Così qualche volta si può anche non perdere, vincere mai.