Ponte sul Po/ Inascoltati 18 allarmi prima del crollo

Fabrizia Argano (Scuola superiore giornalismo Luiss)
Pubblicato il 13 Maggio 2009 - 17:05 OLTRE 6 MESI FA

Diciotto allarmi. Tutti inascoltati. Tra il 2002 e il 2008 il Comune di Piacenza si è rivolto con tale insistenza all’Anas per segnalare il cattivo stato del ponte sul Po. Lo stesso ponte che il 30 aprile scorso è crollato mentre ci transitavano quattro auto. Solo quattro i feriti per una tragedia sfiorata, largamente annunciata.

 E il sindaco della città emiliana Roberto Reggi non ci sta: «Sono cose che succedono nei paesi più derelitti dell’Africa. Qui è capitato a cavallo delle due regioni più ricche e nessuno ha fatto una piega. Possibile che io sia l’unico a indignarsi?».

L’Anas si difende, sostenendo che la rottura del ponte è dovuta all’eccezionale ondata di piena del fiume.

 L’inchiesta per disastro colposo aperta dalla Procura di Lodi chiarirà se è così. Le prime verifiche sembrano andare in tutt’altra direzione. Il ponte aveva resistito a ondate ben più violente, ad esempio le alluvioni del ’94 e del 2000, dicono gli esperti. E poi ci sono le parole del primo cittadino di Piacenza, sentito dai carabinieri sul crollo: «ho consegnato loro il carteggio con l’Anas da quando sono sindaco. Alla fine abbiamo contato 18 missive che segnalavano pericoli e chiedevano interventi urgenti. Una di queste mostrava, corredata da foto, che un giunto del ponte si era dilatato a tal punto che una colonia di piccioni ci aveva nidificato dentro. Ma il guaio è che molte altre strutture sono nelle medesime condizioni, questo è solo l’emblema dell’Italia che va in pezzi».

 E mentre si fa chiarezza sull’accaduto, il manufatto è sotto sequestro e ci vorranno sei mesi prima che possa essere riaperto, anche se parzialmente. Così per i 25 mila veicoli che ogni giorno attraversano quel tratto non rimane che il ponte sull’autostrada. Ma, avverte Reggi, «Ce ne accorgeremo al primo incidente (e ne capita anche uno al mese) che bloccherà  quel ponte, l’unico rimasto in piedi in un raggio di 50 chilometri. Tutto il traffico si riverserà sulle strade secondarie e in pratica l’Italia rimarrà tagliata in due. Ditemi: si può vivere così nel 2009?»