Ricercatore dell’università di Novara condannato a morte in Iran: lo credono una spia

di Redazione Blitz
Pubblicato il 2 Febbraio 2017 - 15:56 OLTRE 6 MESI FA

TEHERAN – Il ricercatore iraniano dell’università di Novara è stato condannato a morte in Iran. Ahmadreza Djalali è un medico iraniano e ricercatore in Italia scomparso dal 24 aprile 2016. Per mesi di lui non si è saputo nulla ma ora che è stato condannato a morte a Teheran con l’accusa di essere una spia. La moglie, che fino ad oggi ha taciuto per paura, ora ha rivelato che Djalali è prigioniero nel carcere di Evin ed è stato destinato alla pena capitale.

Viviana Mazza sul quotidiano Il Corriere della Sera scrive che dall’arresto del medico e ricercatore iraniano sono passati ormai nove mesi e ora la moglie, Vida Mehrannia, ha chiesto aiuto:

“All’inizio non ho denunciato la cosa perché un poliziotto ha chiamato la mia famiglia a Teheran avvertendo che non dovevo parlarne, e io temevo di danneggiare la situazione. Ma non posso più tacere: ieri Ahmad ha chiamato sua sorella, le ha detto che sarà giustiziato con l’accusa di collaborazione con Paesi nemici. Pensano che sia una spia. Ma è solo un ricercatore”.

La donna vive a Stoccolma con i figli di 5 e 13 anni ma è preoccupata per la sorte del marito, che è stato ricercatore a Novara tra il 2012 e il 2015 e ha continuato a lavorare in Iran fino al 24 aprile scorso, quando il regime lo ha arrestato:

“«Non aveva mai avuto problemi». Ma lo scorso 24 aprile, mentre era a Teheran su invito dell’Università, è scomparso. «Ad aprile non si è presentato a un incontro a Novara, e non è da lui», ci dice Francesco Della Corte, direttore del «Crimedim». «Abbiamo chiamato la moglie: ci ha detto che era stato coinvolto in un grave incidente ed era in coma». In realtà, Djalali era stato rinchiuso, senza processo, nella famigerata prigione di Evin”.

Dopo mesi in carcere, ora però arrivano le accuse di spionaggio e il ricercatore iraniano è stato condannato a morte

“I colleghi italiani e svedesi non credono affatto che Djalali sia una spia. Si chiedono se a metterlo nei guai possa essere stato il fatto di aver firmato articoli specialistici con ricercatori sauditi o di avere insegnato con professori israeliani nello stesso master e partecipato ad un progetto finanziato dall’Unione Europea (sulla gestione di emergenze radiologiche, chimiche e nucleari) insieme a un esperto israeliano. «L’unico suo scopo era migliorare la capacità operativa degli ospedali in Paesi poveri colpiti da terremoti e altri disastri», spiega Della Corte, che non gli ha mai sentito dire nulla di negativo sulla Repubblica Islamica”.

Il ricercatore è in grave pericolo e ora i colleghi di Italia e Svezia hanno lanciato un appello affinché il medico iraniano sia salvato.