SCONTRI ALLA SAPIENZA: TRE AI DOMICILIARI, TRE TORNANO LIBERI

Pubblicato il 28 Maggio 2008 - 10:25| Aggiornato il 13 Dicembre 2011 OLTRE 6 MESI FA

Sapienza_rissa4 Convalida del fermo per tutti e sei gli accusati, tre di loro finiscono agli arresti domiciliari, gli altri tre tornano in libertà. È la decisione del giudice Luciano Pugliese del tribunale di Roma dopo gli scontri di martedì davanti all’Università La Sapienza tra giovani dei collettivi studenteschi e militanti di estrema destra.

DOMICILIARI – La custodia presso il domicilio è stata disposta per Martin Avaro, Gabriele Acerra (entrambi militanti di Forza Nuova) ed Emiliano Marini (di sinistra). Il giudice ha accolto le richieste del pubblico ministero Delia Cardia che aveva circoscritto gli arresti domiciliari ai soli tre indagati che hanno precedenti penali. Tornano invece in libertà Andrea Fiorucci, Federico Ranalli e Giuseppe Mercuri. Tutti e sei sono accusati di rissa aggravata dalle lesioni. Rischiano da tre mesi a cinque anni di reclusione. Nel corso dell’udienza di convalida i due gruppi di giovani hanno attribuito alla fazione opposta la responsabilità della aggressione. Gli avvocati difensori, sia quelli degli studenti che quelli degli esponenti di Fn, avevano chiesto la non convalida degli arresti per mancanza di flagranza, e la non applicazione delle misure cautelari. Il processo proseguirà il 2 luglio prossimo.

IL PRESIDE – Intanto il preside della facoltà di Lettere della Sapienza, Guido Pescosolido, smentisce una parte della ricostruzione dell’avvocato Stefano Fiore, difensore degli attivisti di Forza Nuova. Il legale aveva sostenuto che uno dei suoi assistiti – Andrea Fiorucci – si trovava in via De Lollis (dove sono avvenuti gli scontri) per un incontro con il preside. «Smentisco categoricamente – afferma Pescosolido – non avevo alcun incontro in programma con Andrea Fiorucci. Fiorucci lo ho incontrato solo all’epoca in cui mi è venuto a chiedere l’autorizzazione per il convegno sulle foibe che è stato poi annullato». Ma Pescosolido respinge anche le richieste di sue dimissioni. Sarebbero, dice, «un’ammissione di una colpa che non intendo riconoscere. Sarebbero una resa. Mi dimetterò – continua – solo se coloro che mi hanno eletto dandomi il 70% delle preferenze me lo chiederanno. Solo se ci sarà una mozione di sfiducia».