New man, metrosexual, new lad? I modelli maschili stanno cambiando e in un certo senso si stanno ‘femminilizzando’. E anche i disturbi del comportamento alimentare – fino a pochi anni fa appannaggio quasi esclusivo delle donne – si stanno gradualmente allontanando dall’essere un disturbo di genere e sempre più spesso si configurano come un problema di identità. In questo caso maschile.
Fino a circa 20 anni fa il rapporto tra l’incidenza dei disturbi alimentari negli uomini e nelle donne era pari a 1 a10, 1 a 15. Gli ultimi dati suggeriscono che questo rapporto sia arrivato almeno ad 1 a 4. Nel caso del disturbo alimentare più recente, e cioè l’abbuffata compulsiva, la distanza si accorcia e il rapporto maschi/ femmine diventa 3 a 4. È difficile non correlare questo fenomeno al fatto che le preoccupazioni per il corpo, per la forma fisica e per l’apparenza in genere, fino al secolo scorso prerogativa quasi esclusivamente femminile, abbiano cominciato a riguardare adesso sempre più anche i ragazzi. Anche l’abitudine a seguire diete e far uso di bevande e cibi light costituisce un fenomeno non più esclusivamente femminile.
Dell’argomento si occupa anche un libro uscito recentemente in libreria: “Giganti d’argilla”, di Laura Dalla Ragione e Marta Scoppetta. Le autrici spiegano perché, improvvisamente, gli uomini non sono più immuni da questi disturbi: da quelli “classici”, come anoressia, bulimia e disturbi da abbuffata compulsiva, a quelli “nuovi”, come l’ortoressia e la bigoressia, più specifici del genere maschile e che vedono in una certa cultura del benessere, dello sport e del mondo delle palestre i focolai a cui si ispira l’espressione di forme più moderne di disagio.
Nel testo ci sono le voci, le lettere, le testimonianze dei ragazzi, dei figli, delle loro madri, delle loro mogli, perché la sofferenza di ogni persona si iscrive dentro la sua biografia e in quella della sua famiglia ed è solo lungo un processo di cura che comprenda la conoscenza di Sé e della propria storia che i pazienti possono rinunciare alla loro malattia per trovare un nuovo modo di “abitare” il mondo e il corpo.
Spiegano Laura Della Ragione, Psichiatra e psicoterapeuta, responsabile del Centro disturbi del comportamento alimentare di Todi, e Marta Scoppetta, psichiatra e ricercatrice del Ministero della Salute: “Uomini fragili e pieni di paure, con il corpo che come nel femminile diventa il teatro di conflitti e rappresentazioni. Corpo manipolato e levigato anche per i maschi, adolescenti ed adulti senza distinzione di età e cultura, che nasconde sempre più spesso il ‘difficile mestiere di essere se stessi’ recuperando un ascendente su se stessi, unica vera garanzia di libertà, per usare le parole del sociologo Alain Ehrenberg. Uomini, ragazzi, bambini alla ricerca di un padre nella post modernità, uomini nuovi, che rifiutano vecchi schemi ma che non sono ancora dotati di un corredo psicologico tale da poterli rendere davvero diversi dai loro padri. Riflettendo su queste nuove patologie ci siamo accorte che si trattava di ricostruire il difficile percorso della strutturazione dell’identità al maschile, per comprendere perché improvvisamente gli uomini non fossero più immuni a certi disturbi ma anzi si ammalassero gravemente, manifestando sintomi spesso difficili da trattare”.
Aggiunge Luisa Stagi, docente di Sociologia e Metodologia e tecniche della ricerca sociale all’Università degli Studi di Genova: “I media giocano un ruolo insostituibile nella rappresentazione dei diversi modelli di maschilità, sia di quelli marginali sia di quelli egemoni. I fenomeni, quasi tutti interni ai media, del new man, del metrosexual e del new lad sono esempi di come i media, sia per il loro ‘svelamento’ del retroscena maschile sia per i loro contenuti e le loro immagini, contribuiscano fattivamente a definire i nuovi modelli di maschilità. La televisione ha poi contribuito a determinare una sorta di ‘confusione’ tra i generi, tra il maschile e il femminile, dando alle donne l’accesso a una serie di informazioni sulla sfera della maschilità che prima erano ad esse (quasi) del tutto negate. A volte, le rappresentazioni mediatiche di maschilità non solo riflettono alcuni cambiamenti nella società, ma tendono anche a legittimarli. La implicita trasmissione di stereotipi di genere si reitera anche attraverso comportamenti collettivi e immagini mediatiche, rischiando a volte di mettere profondamente in crisi i tentativi di mutazione che uomini e donne stanno praticando”.