Tirrenia e General Motors: l’opacità di Berlusconi, il successo di Obama, un confronto che fa capire la forza dell’America, il disastro dell’Italia

Pubblicato il 12 Agosto 2010 - 21:17 OLTRE 6 MESI FA

Obama, Berlusconi, Medvedev. tre stili d'uomo, di paese, di governo

Due esempi di intervento statale danno l’idea della differenza tra due mondi e spiegano perché l’America andrà sempre avanti e l’Italia è condannata a una continua e inesorabile regressione.

Gli esempi sono dati dalla Tirrenia e dalla General Motors.

In entrambi i casi lo stato è intervenuto, per salvare le aziende e proteggere l’occupazione.

La Tirrenia è dello stato italiano da tempo immemorabile e si è trasformata in una azienda sull’orlo del fallimento, anzi, proprio oggi, mercoledì 12 agosto, la procedura di fallimento si è avviata formalmente.

Nessuno ha spiegato i contorni misteriosi di un processo di privatizzazione partito come in una vecchia canzone con quindici contendenti, ma poi a fare tapin tapun ne è rimasto uno solo, con una compagine azionaria mista di privati e pubblico, ma con la regione Sicilia, che sempre pubblico è, in una quota di maggioranza relativa di quasi il 40 per cento.

Ma tapin tapun non glielo hanno fatto nemmeno fare perché al momento di concludere la procedura d’asta, il venditore, cioè la holding statale proprietaria della Tirrenia, ha annullato tutto.

Che ci sia stato uno che abbia sentito il dovere civile di spiegarci perché, nemmeno per sogno. Che uno dei grandi giornali che hanno deliziato e deliziano gli italiani con storie di puttane e cognati si sia appassionato con almeno una domanda, non undici, nemmeno per sogno.

Non che le storie di puttane e cognati non siano rilevanti per capire in che mani è lo stato italiano.

Ma la vicenda della Tirrenia legittima un dubbio: l’attenzione dell’opinione pubblica rimane totalmente polarizzata dalla messinscena dei politici, che come gli scimmioni di battono il petto ululando, terrorizzati all’idea di dovere davvero menare le mani, ma attenti sempre a tutelare al meglio i loro più legittimi, e quelli meno legittimi, interessi.

Intanto, però, chi per anni ha fatto gli affar propri a spese dello stato e quindi a spese nostre, sopra il tavolo, i politici, sotto il tavolo, i burocrati e i funzionari pubblici, continua come sempre, anzi con ancor più voracità e felicità, a fare gli affari propri.

Dall’altro lato dell’Atlantico, un anno fa Barack Obama ha investito 50 miliardi di dollari per salvare la General Motors e salvare le decine di migliaia di posti di lavoro che erao stati posti a rischio dalla concorrenza internazionale, la crisi globale e un management incrostato di burocrazia e di potere.

Dissero che era pazzo, che era comunista, che era l’inizio di un processo di statalizzazione dell’economia degno di Stalin.

Obama cambiò i vertici di GM, mise un suo proconsole alla guida della ex prima azienda automobilistica del mondo e lo ha lasciato lavorare, senza chiedere favori per un suo cognato né per qualche sua segretaria.

Passato poco più di un anno General Motors presenta i conti: due trimestri consecutivi in utile, con risultato crescente, al punto da poter pensare di tornare in borsa, chiedendo al mercato circa 16 miliardi di dollari che saranno restituiti al Tesoro pubblico.

Non c’è molto altro da aggiungere, se non un morso alle labbra da lasciare il segno: di vergogna di disperazione di rassegnazione.