Italia unita, polemiche sulle celebrazioni. E se dopo 150 anni di retorica e conformismo, provassimo a parlare male di Garibaldi?

di Marco Benedetto
Pubblicato il 21 Agosto 2009 - 16:52| Aggiornato il 13 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Si avvicinano i 150 anni dall’unità d’Italia e sembra proprio che ci avviamo a cerebrarli nell’unico modo degno: con una sconcia confusione, nella lunga tradizione di incompetenza, furberia e, come di sicuro scoprirà qualche pm con una retata tra qualche anno, di ruberie, che hanno caratterizzato la storia d’Italia unita da sempre, prima ancora che cominciasse, con la spedizione dei Mille.

Non possiamo nasconderci che, dietro i bagliori di genio e di eroismo che hanno portato mille scalcinati a sconfiggere il più grosso e forte esercito della Penisola (ancora non mi convinco che non ci fosse sotto qualcosa d’altro), ci furono malversazioni di ogni genere. Fin dall’arrivo a Napoli Garibaldi cominciò a disgustarsi; uno dei più bravi romanzieri italiani, Ippolito Nievo, morì nel naufragio della nave che lo riportava in Sicilia, a spedizione conclusa, per ricostruire la documentazione contabile sull’onda di sospetti e accuse di ruberie.

Adesso Umberto Bossi cavalca una campagna di ostilità alle celebrazioni che dovrebbero ricordare, nel 2011, l’anniversario.

Ha molte ragioni dalla sua parte. Leggendo quel poco che dicono i giornali, viene il sospetto che nel grande calderone dei fondi di decine e decine di milioni di euro per le celebrazioni si volesse cercare di infilare spese che hanno molto poco a che vedere con l’Italia unita e si ha la certezza che il biasimo sia da ripartire equamente fra il governo Prodi e quello Berlusconi, se è vero che di fronte alle proteste il ministro per la cultura Bondi ha detto di avere sospeso tutto tranne quel che era stato già deciso sotto Prodi.

Ma Bossi non può fingere di non riconoscere i vantaggi che alle terre dove miete voti sono venuti dalla appartenenza a uno stato grande e unitario. Uno può dire che il benessere all’Italia del nord est è venuto dalla caduta delle barriere doganali europee e dalla vicinanza del mercato tedesco e quindi dedurre che il processo si sarebbe avviato anche prima, se il grande Reich austro-tedesco fosse rimasto in piedi. Però, e per fortuna di tutti, austro-tedeschi inclusi, quel Reich è finito l’8 maggio del 1945, e l’impero che ancora a Udine rimpiangono è finito nel 1918. Innescata dall’aggressione di Bossi, si è mossa la reazione del meridione, che più di una ragione ha nel sentirsi vittima e colonizzata dall’unificazione che si vuole celebrare.

Paghiamo il prezzo dell’ipocrisia piemontese, di gente che chiamava i piedi estremità e non aveva il coraggio di ammettere che il Piemonte aveva annesso il resto d’Italia. Così, invece di tenere la capitale a Torino, cominciarono  il pellegrinaggio verso Roma, via Firenze, col risultato di portare il centro delle decisioni politiche in una città sacra e di allontanarlo dal centro del potere politico e economico, allora costituito dal triangolo Torino, Milano, Genova.

Negli stessi anni, anche il re di Prussia annetteva stati e staterelli tedeschi, ma non si sognava minimamente di spostare la capitale da Berlino, che è all’estremo orientale; però rispettava le autonomie dei singoli stati, costruendo un impero federale il cui impianto funziona ancora oggi.Così avrebbe dovuto fare l’Italia, ma prevalsero conformismo, retorica, superficialità, approssimazione, ideologia e ancora ne paghiamo le conseguenze.

Date tutte le ragioni dovute al sud d’Italia, però va anche rilevato che risulta difficile immaginare che, lasciato solo a se stesso, il regno delle due Sicilie sarebbe andato molto distante. Appare abbastanza certo che i mali del meridione si sarebbero solo aggravati, forse con dolcezza e non con la brutalità degli interventi militari piemontesi, ma altrettanto inesorabilmente.

Una netta linea va tracciata tra l’Italia monarchica e l’Italia repubblicana, per quanto riguarda l’attenzione dello Stato alle zone più deboli. E l’Italia vince nel confronto con altri stati europei. Prendiamo la differenza del comportamento dei francesi verso la Corsica rispetto agli italiani con la Sardegna. Se confrontiamo come si vive nel meridione d’Italia con Scozia, Irlanda e anche un po’ Inghilterra del nord, abbiamo un convincente esempio sulla superiorità dello stato repubblicano e del suffragio universale rispetto a quello monarchico.Di sicuro la polemica sulle celebrazioni andrà avanti ancora per un po’, con interessi in gioco che nulla hanno a vedere con l’occasione e con il Governo tenuto in ostaggio dalla Lega, a sua volta vittima della sua ideologia e dei suoi vincoli elettorali.

Sarebbe invece l’occasione per affrontare, con serietà e anche con duri confronti e scontri di idee, una ricerca sulla vera storia dell’unità d’Italia. Tanti dicono che l’Italia non ha ancora chiuso i suoi conti col fascismo e auspicano una specie di seduta psicanalitica collettiva su quei vent’anni, specialmente gli ultimi cinque.

Forse ci si potrà arrivare meglio dopo avere affrontato, con coraggio e senza reticenze, la verità sui padri della patria. Ma che re buono, ma che eroe dei due mondi. Cerchiamo di capire la realtà, cerchiamo di vedere, dietro le luci, anche le ombre.  Non ci vogliono molti soldi per un po’ di ricerche e di convegni, certo molti di meno che per le più o meno inutili, certo incongrue opere di cui si è parlato e cui, personaggi del livello di Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano sembrano voler dare avallo. Per guardare in faccia la storia ci vogliono pulizia mentale, onestà intellettuale, tanto coraggio. Beni più difficili da trovare che non i fondi del ministro Tremonti, ma che valgono immensamente di più.

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