Veronica, il mistero della lettera. Messaggio a Berlusconi? “Fango” l’accusa dell’amante, “certo” il suo amore per Silvio e la famiglia, “neppure sfiorata la ragione per cui ho dovuto ricorrere alla stampa per parlare con lui”. E nello stesso giorno il Corriere commenta l’altra lettera, quella di Gino Flaminio: “Felici di servire il capo”

Pubblicato il 11 Giugno 2009 - 12:54 OLTRE 6 MESI FA

Poche righe, molto pensate e calibrate, che però lanciano un messaggio non facilmente decifrabile nel suo significato complessivo. Come vi fosse un codice per interpretarle davvero, codice di cui non tutti, anzi pochi, dispongono la chiave. Leggiamola insieme la lettera di Veronica Lario al Corriere della Sera, probabilmente inviata non tanto al quotidiano quanto a qualcun altro, e infatti il Corriere si limita a far da “postino”, stampa e neanche tenta una lettura, una spiegazione, una decifrazione.

«In queste settimane ho assistito in silenzio, senza reagire mediaticamente, al brutale infangamento della mia persona, della mia dignità e della mia vita coniugale».  Fin qui è una sofferta protesta per aver dovuto leggere di un suo presunto amante, per aver dovuto leggere titoli come quello apparso su Libero di Feltri che recitava: “Berlusconi ammette”, per aver dovuto leggere dispiegata su tutta la stampa politicamente vicina a Berlusconi la tesi dell’uomo tradito, lasciato solo e quindi indotto a cercare altrove consolazione umana se non affettiva. Veronica protesta e nega che questo “fango” corrisponda a realtà, comunica il suo sofferto stupore per la diffusione massiccia e corale del “fango”.

Poi scrive ancora: «Certo è che la verità del rapporto tra me e mio marito non è stata neppure sfiorata, così come la ragione per cui ho dovuto ricorrere alla stampa per parlare con lui». Veronica richiama e si appella alla “verità”, che non è dunque quella dell’amante, di un matrimonio da tempo finito per sua colpa e sua scelta. Qui però Veronica non dice tutto, almeno non esplicitamente: quale dunque la “verità” del rapporto e quale «la ragione per cui ho dovuto ricorrere alla stampa per parlare con lui»? L’impossibilità di un colloquio privato? Il tentativo di salvare la famiglia sbattendo sul volto del premier i danni pubblici di un comportamento familiarmente intollerabile? Una condizione di “assedio” privato e pubblico da cui poteva uscire solo parlando con la stampa?

Poi la lettera così ancora prosegue: «Certo è che l’ho sempre amato e che ho impostato la mia vita in funzione del mio matrimonio e della mia famiglia». È il terzo atto del testo che suona come un bilancio doloroso e anche come la pubblica rivendicazione di essere in pace con la coscienza oltre che con i fatti.

La protesta indignata nelle prime righe, poi una verità rivendicata ma non esplicitata, quindi la riaffermazione di una dedizione alla famiglia come valore primario e sempre perseguito. Che vuol dire la Lario comunicando e mescolando questi tre sentimenti? È l’offerta, rinnovata di un divorzio senza clamore, della sua volontà di non arrecare danno all’uomo “sempre amato” e alla famiglia? Ma, se è così, da dove la necessità di farlo via stampa, viene forse dall’aver incontrato ostacoli e rifiuti su questa strada?

Oppure è ancora di più, è un messaggio, dai toni disperati, di pace. Pace ad ogni costo purché finisca il massacro mediatico su di lei e quindi sulla famiglia? È insomma un atto di resa e di sottomissione sia pure in nome della famiglia?

O ancora è una lettera d’addio, anche alle speranze di non farsi male tra persone che si sono amate, la presa d’atto che la famiglia e l’amore non sono più la vera posta in gioco, che altri giocano pesantemente ad altri giochi e quindi Veronica riafferma “certi” il suo amore per Silvio e la famiglia ma lo fa quasi a futura memoria, come chi sa che verranno travolti e non per sua scelta? Ogni interpretazione è plausibile per il comune italiano, cittadino o lettore. Altri, siano essi avvocati o politici, avranno forse la chiave per decifrare senza dubbio. Certo è che è sempre un più strano paese quello dove il maggior quotidiano e quindi la pubblica opinione devono, non per gossip ma per civico bisogno di conoscenza, esercitarsi nell’esegesi di un testo della moglie del premier oppure astenersi, un po’ per pudore e un po’ per timore.

E non è la prima volta che la “verità” viaggia esile sulle gambe di una lettera al Corriere. Allo stesso giornale aveva scritto Gino Flaminio, l’ex fidanzato di Noemi. Vale la pena di riportare, senza commento, quanto scrive a proposito sul settimanale del Corriere il giornalista Aldo Cazzullo: «Quella lettera è una fotografia dell’Italia di oggi. C’è dentro tutto. L’ignoranza profonda e rivendicata degli errori di ortografia… Poi c’è la rivendicazione di una qualità eterna di noi italiani, oggi in gran voga: siamo servi riconoscenti, felici di servire. Abbiamo bisogno di un capo e siamo lieti se telefona alla nostra fidanzata o a nostra figlia adolescente… Un ex borseggiatore di venti anni, sbranato come delinquente da giornali e politici che si sono battuti come leoni per difendere condannati per mafia e corruzione di magistrato. E il passaggio clou, di una comicità involontaria ma esilarante: mi dicono che sono un pregiudicato, camorrista, Boss, Bugiardo, Leader di Sinistra, insomma una schifezza d’uomo». «Scrivo – conclude Cazzullo – prima di conoscere i risultati elettorali, ma sono certo che la lettera di Gino Flaminio li anticipa e li spiega correttamente”.