FOTO-Isole Marshall: come si vive con la casa che affonda…

di Redazione Blitz
Pubblicato il 3 Dicembre 2015 - 07:00 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Le Isole Marshall stanno scomparendo. In questo arcipelago di mille isolotti strappati al groviglio di atolli corallini nell’Oceano Pacifico i 70mila abitanti combattono ogni giorno per mettere un riparo provvisorio alle inondazioni che con cadenza mensile rompono gli argini, le maree che inondano gli abitati, contaminano le falde acquifere, distruggono l’ecosistema.

Sul sito del New York Times si può vedere, in una foto animata, il mare che avanza, le isole che stanno lentamente scomparendo.

Un compito inane che a stento (ma qualcosa si muove) è percepito dai grandi riuniti solennemente in questi giorni a Parigi nella conferenza sul clima.

Proprio qui alle Marshall, per affrontare seriamente riscaldamento terrestre e innalzamento dei mari che in poche decadi sommergeranno vaste porzioni di globo, bisognerebbe organizzare una conferenza subacquea sul clima.

Per il New York Times Coral Davenport è andata a vedere cosa succede sul posto, sul primo fronte di questa guerra silenziosa che da un cielo surriscaldato precipita in terra devastando e distruggendo.

Linber Anej guada verso fuori nella bassa marea per recuperare rottami, pezzi di metallo, qualsiasi cosa per riportali a riva e tentare di ricostruire il fronte mare di fortuna davanti alla sua casa. La barriera temporanea nulla può contro la marea crescente che regolarmente invade le capanne e i vicoli di fango con acqua salata e liquami grezzi tanto che ogni giorno tranne la domenica, il signor Anej deve unirsi a un gruppo di uomini per riportare al loro posto detriti e relitti galleggianti.

“E’ senza senso, lo so”, ammette Anej, 30 anni, che vive con 13 tra genitori, figli, fratelli, in una casa di 4 stanze. Ma è l’unica scelto che ho”. In piedi, sulla sommità di un povero e affollato agglomerato di baracche di latta vicino casa sua, confessa, “Mi sento come se vivessimo sott’acqua”.  (Coral Davenport, New York Times).

Marshall Islands, però, ha qualche carta da giocare anche al cospetto delle grandi nazioni che consumando voracemente energia stanno facendo scomparire posti come quello. Finora riunioni governative in gabinetti subacquei, scioperi della fame, accorati appelli alle Nazioni Unite non hanno sortito nessun effetto. Gli abitanti delle isole, tuttavia, in base a un accordo con gli Usa seguito agli esperimenti atomici nei vicini atolli di Bikini Islands (molti abitanti furono trasferiti proprio a Marshall) possono, quando vogliono, trasferirsi negli Usa, possono ottenere la cittadinanza in default.

Meglio aiutarli a restare nelle loro isole, 70mila profughi (se non si interviene in pochi anni le isole sarebbero inabitabili) rappresentano un esodo e un costo. Non lo capiscono 37 senatori repubblicani che lo scorso mese hanno scritto una lettera diciamo così di diffida: “I nostri elettori sono preoccupati che gli impegni sottoscritti rafforzino le economie straniere a spese dei lavoratori americani”. Il Brasile, invece, ha copiato proprio il modello di riduzione delle emissioni adottato dalle Marshall: un segnale, uno dei più grandi inquinatori del mondo impara dalla nazione che sta scomparendo.