La Sesta Estinzione di massa: la nostra. Comincia anche nei fondali di Ischia

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 24 Ottobre 2014 - 16:09 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – La Sesta Estinzione di massa: la nostra. “La Sesta Estinzione. Una storia innaturale“, è il titolo del libro di Elizabeth Kolbert (Neri Pozza, pp. 336, euro 20). Libro dal titolo apocalittico ma dalla scrittura molto documentata e quindi ancora più inquietante. Anche perché la Kolbert non è un’esperta di tarocchi ma una giornalista specializzata in temi ambientali, firma del New Yorker.

Scrive Riccardo Staglianò, che ha intervistato la Kolbert sul Venerdì di Repubblica:

“La notizia della morte del Pianeta non è fortemente esagerata.  […] Siamo nel mezzo di una sesta estinzione si chiamava lo studio della National Academy of Sciences in cui (Kolbert, ndr) si è imbattuta nel 2008. «Ancor prima di leggerlo rimasi sorpresa dalla titolazione» ricorda, «perché la scienza usa le parole con più cautela di noi giornalisti. Poi lo lessi e capii che valeva la pena scavare».

Sesta Estinzione di massa: e le altre cinque? Eccole:

La prima grande estinzione di massa fu nell’Ordoviciano-Siluriano, 450 milioni di anni fa
La seconda fu nel Devoniano superiore, 377 milioni di anni fa
La terza fu nel Permiano-Triassico, 251 milioni di anni fa
La quarta fu nel Triassico-Giurassico, 203 milioni di anni fa
La quinta nel Cretaceo-Terziario, 66 milioni di anni fa.

Quindi sono 66 milioni di anni che non c’è nessuna grande estinzione di massa, su questo Pianeta. Da quando un meteorite del diametro di dieci km si schiantò sulla Terra a una velocità di 30 km al secondo, provocando un’esplosione che avrebbe liberato un’energia pari a 10.000 volte a quella generabile da tutto l’arsenale nucleare ai tempi della guerra fredda. Una super bomba che sterminò tre quarti delle specie allora viventi sulla Terra.

Oltre alle grandi estinzioni ci sono le estinzioni naturali e lentissime delle singole specie viventi. Per esempio, tra i mammiferi, scompare una specie ogni 700 anni.

Sì, ma perché ora toccherebbe a noi? 

“Il dibattito sull’ambiente, non è più nella fase della prevenzione quanto in quella dell’adattamentoscrive Staglianò -. Come sopravviveremo quando l’estate finirà a novembre e l’ulivo sarà in alta montagna?

Kolbert dice: «La storia rivela che la vita è dotata di una resilienza estrema, ma non infinita». «L’odierno riscaldamento globale ha luogo con una velocità dieci volte maggiore rispetto al passato. Gli organismi dovranno migrare, o adattarsi  a quel ritmo».

La prima causa del riscaldamento globale è l’uomo. Paul Crutzen, chimico olandese che ha vinto il Nobel per i suoi studi sul buco dell’ozono, definì la nostra era Antropocene. Cioè l’era in cui l’uomo molto fa e ancora di più disfa. L’uomo distrugge habitat, trasporta virus, infesta ecosistemi rimasti intatti per milioni di anni.

Kolbert: «L’attività umana ha trasformato da un terzo a metà della superficie del Pianeta. Le fabbriche di fertilizzanti hanno saturato di azoto la Terra. L’uomo consuma più della metà delle risorse accessibili di acqua al mondo […] la concentrazione di diossido di carbonio nell’aria è ormai oltre le 400 parti per milione, superiore a quella registrata in qualunque altro momento negli ultimi 800 anni […] se la tendenza continuerà, la concentrazione di CO2 raggiungerà entrò il 2050 le 500 parti, un livello doppio alla preindustrializzazione, cnun successivo aumento della tempreratura globale tra i 2 e i 3,8 gradi […] L’acidità degli oceani è già scesa da un valore medio di 8,2 a uno di 8,1, ma non fatevi ingannare dal fatto che si tratti di un decimale […] Se il Ph del vostro sangue cambiasse dello 0,1 per cento probabilmente sareste morti».

Quello che succederà in futuro con il calo del Ph medio degli oceani si può vedere già nei fondali di Ischia, dove i camini vulcanici sotterranei pompano anidride carbonica nell’acqua, alterandone la basicità e portandone il Ph medio a 7,8: quello che nei peggiori scenari dovrebbe essere il valore medio dell’acqua negli oceani entro il 2100.

Insomma c’è il futuro che ci aspetta sotto il mare dell’isola di fronte a Napoli. Questo futuro:

«Le praterie di posidonie, già a due-tre metri di profondità, sono un caos. È come se fosse passato un giardiniere ubriaco. […] È come se si passasse, in poche decine di metri, dalla savana alla steppa […] meno posidonie vuol dire una minore capacità dei mari di assorbire CO2 dall’atmosfera […] Ma anche, con meno foglie secche portate a riva dalla risacca, una ridotta barriera contro l’erosione delle spiagge»

E mentre i gamberetti che si nutrono delle posidonie “acide” cambiano sesso (i maschi diventano femmine, e non viceversa) per adattarsi all’ambiente, il pesce pagliaccio, stordito dall’acqua acida, non sente più l’odore dei predatori: l’olfatto è radar che lo aveva salvato per millenni. Ora rischia di estinguersi. E neanche l’uomo se la passa tanto bene.

Crutzen, quello che coniò il termine Antropocene, rispose così a sua moglie che gli chiedeva come era andata la giornata in laboratorio: «Il lavoro va bene, ma sembra che potrebbe esserci la fine del mondo».