Non nel mio cortile. Non solo Tav: 331 opere bloccate in Italia

Pubblicato il 3 Marzo 2012 - 08:21 OLTRE 6 MESI FA

No Tav, occupata di nuovo la A32 a Bussoleno (foto LaPresse)

ROMA – La grande protesta No-Tav non è l’unica a paralizzare la realizzazione di opere in Italia: sono 331 quelle ferme tra discariche, rigassificatori, elettrodotti, ferrovie. Per esempio il comitato “Vita del Friuli rurale” è nato in contrapposizione al progetto del 2007 di una nuova linea elettrica di 40 km, con tralicci alti 70 metri tra Udine e Gorizia.  In Val Camonica tutti, dalla popolazione ai politici, dicono no all’inceneritore per smaltire 40 tonnellate di amianto. L’Eni ha dovuto dimezzare l’investimento per rendere autosufficiente a livello energetico l’impianto di raffineria di Taranto.

Premesso che ogni caso merita di essere giudicato nella sua peculiarità, il blocco delle opere frena lo sviluppo, sta diventando endemico, produce una frattura tra governo centrale e governi locali, più disposti a compiacere le istanze degli abitanti dei territori interessati. La settima edizione dell’Osservatorio Nimby Forum è l’occasione per fare il punto sullo stato di non avanzamento lavori in tutto il paese. Nel 2011 sono 163 i nuovi casi di fermo per opposizione delle comunità: la metà dei quali, nel totale, si verifica ancor prima che il progetto sia stato autorizzato.

Nimby è un acronimo inglese che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni: sta per “not in my backyard”, “non nel mio cortile di casa”, e indica l’atteggiamento di protesta contro opere di interesse pubblico che si teme possano danneggiare il territorio, o pregiudicare la qualità della vita. Alludendo, in particolare,  a quell’atteggiamento per cui magari riconosco come possibile  o necessario un intervento o un’opera (infrastrutture, centrali elettriche o nucleari) ma allo stesso tempo la contesta se realizzata nel mio territorio. Insomma va bene ovunque tranne che sotto casa mia. Atteggiamento che ha il suo correlativo politico nel “not in my term of office” ovvero “non durante il mio mandato” con cui i governanti a livello locale spostano a data da definirsi decisioni impopolari che minacciano la rielezione se non proprio la stessa carriera.

Le maggiori opposizioni riguardano il comparto elettrico, più della metà con il 53,5%: 177 impianti per la produzione di energia elettrica sono fermi. Il trattamento dei rifiuti speciali scatena proteste nel 14,5% dei casi: sono 48 gli impianti bloccati, in questo caso però molti meno dell’ultima rilevazione. Stabile alo 10% è l’opposizione ai termovalorizzatori. Aumenta, dal 5 al 7%, il numero di chi non vuole discariche. Il problema è enorme ma va affrontato: le opere servono ma, ci chiediamo, chi gradirebbe osservare dalla propria finestra l’attività di uno smaltitore di amianto?

La comunicazione è il punto nevralgico, in tutti i sensi, nel bene e nel male. Chi si appropria del messaggio giusto, quello che attrae di più, vince. Solitamente un generico appello alla sicurezza ambientale ha molte possibilità di essere recepito (il 30% delle proteste è per la paura dell’impatto ambientale, primo motivo). Ma, progresso tecnologico e ambiente non è detto che debbano per forza essere messi in contraddizione. In Italia, però, per una serie di motivi storici, didattici, filosofici, manca una cultura dell’informazione scientifica, quasi sempre circoscritta a specialisti e addetti ai lavori. Manca una vera divulgazione scientifica capace di arginare le strumentalizzazioni a fini politici. Un dato in proposito è illuminante: se sono diminuiti i comitati spontanei che sostengono il 20% delle iniziative di protesta, sono cresciuti i soggetti politici promotori in prima battuta delle contestazioni, attestandosi al 26,7% dei casi.