Preghiamo che il Vesuvio stia quieto. Il fallimento di ogni piano di messa in sicurezza

Pubblicato il 28 Aprile 2010 - 13:38| Aggiornato il 9 Dicembre 2011 OLTRE 6 MESI FA

Il Vesuvio "quieto"

Zona rossa, zona gialla, zona blu: tanti colori per raccontare una semplice verità: il Vesuvio preoccupa, e non poco, la Protezione civile. Ufficialmente, almeno per il momento, il vulcano è in fase di quiescenza, ovvero non sputa fuori lava dal 1944. In quell’occasione, nonostante un’eruzione di portata relativamente contenuta, e con l’area intorno al cratere assai meno densamente popolata di oggi,  morirono 26 persone.

Ad allarmare i tecnici della Protezione civile c’è il “ritardo” del vulcano napoletano che prima del 1944 aveva eruttato anche nel 1929, nel 19067 e ben 8 volte tra il 1855 e il 1899. Insomma, la preoccupazione che sotto terra qualcosa stia ribollendo c’è e chi dovrebbe rassicurare e mostrare di avere la situazione sotto controllo, ovvero Guido Bertolaso, fa tutt’altro.

Spiega il capo della Protezione civile: «Il Vesuvio sta bello tranquillo e speriamo che rimanga in questa situazione di quiescienza. Sappiamo anche  che nel caso di un risveglio la situazione sarebbe drammatica». Dalle sue parole, insomma, sembra che il cuore del piano di prevenzione stia nel pregare molto e sperare che non succeda nulla.

Un piano in realtà esiste, così come esiste da tempo una legge che aveva il compito di favorire la delocalizzazione delle aree abitate nella zona rossa, quelle di massimo rischio in caso di eruzione. Avrebbe dovuto funzionare così: fondi a chi lascia la sua casa a rischio per costruirsene una nuova di zecca in un posto tranquillo. È andata in modo “leggermente” diverso: i fondi sono stati stanziati, la gente li ha presi, si è fatto casa nuova ed ha affittato quella vecchia nella zona rossa. Il risultato finale, come ha detto lo stesso Bertolaso, è un “fallimento totale”: sono stati spesi soldi pubblici e gli abitanti da sgomberare, in caso di emergenza, non sono diminuiti neppure di un’unità, anzi.

Il piano di emergenza, invece, è strutturato e consultabile sul sito della Protezione civile. Prevede l’individuazione di tre zone di rischio. Quella di allerta massimo è la “rossa”: appena il vulcano sputa o sbuffa, si procede subito all’evacuazione nella zona gialla e alla predisposizione di un cordone di protezione attorno all’area di massimo rischio”. Della zona rossa, al momento, fanno parte 18 Comuni: Ercolano, Portici, San Giorgio a Cremano, San Sebastiano al Vesuvio, Massa di Somma, Pollena Trocchia, Torre del Greco, Torre Annunziata, Boscotrecase, Boscoreale, Trecase, Sant’Anastasia, Somma Vesuviana, Cercola, Terzigno, San Giuseppe Vesuviano, Ottaviano e Pompei.

Come ha spiegato Bertolaso, però, il problema sono i tempi: una settimana al massimo, forse tre o quattro giorni. Il tutto per far sgombrare almeno mezzo milione di persone in una situazione di viabilità insufficiente e con l’aggravante di scosse sismiche e panico tra la popolazione.

«Nella fascia rossa ci sono attualmente 18 comuni abitati ufficialmente da 500mila cittadini, dunque diciamo almeno da 650-700mila –  spiega il capo della Protezione Civile – Tutti questi sarebbero interessati da terremoti, colate piroclastiche, colate di cenere e fango che andrebbero ad interessare buona parte del territorio».

L’esplosione del vulcano, inoltre, «provocherebbe una colonna di fumo e lapilli alta fino a 20 chilometri e la caduta di cenere interesserebbe una zona compresa tra Salerno e quella al confine tra Lazio e Campania». Infine, al suolo ricadrebbero due metri di cenere per ogni metro quadro, facendo di fatto collassare molti edifici. Per evitare inutili allarmismi, Bertolaso ripete che si tratta di «scenari che non vanno presi per oro colato». Ed è per questo che «abbiamo chiesto alla commissione di rielaborarli, in modo da vedere se bisogna allargare la zona rossa e predisporre piani di evacuazione per almeno un milione di cittadini, tra cui molti di Napoli».

E poi c’è il caso Napoli. Il Comune, per ora, non fa parte della zona rossa ma Bertolaso, martedì 27 aprile ha fatto capire che almeno una porzione di città potrebbe finirci. Da sgomberare, in questo caso, non sarebbero più mezzo milione di persone, ma oltre un milione. Con gli stessi tempi e con le strade ancora più intasate. Il Vesuvio, insomma, come ha detto Bertolaso, è il “più grande problema di Protezione civile in Italia”. In caso di emergenza la risposta sarà all’altezza? Speriamo di non doverlo sapere mai.