Il deserto intorno a Google nella sua lotta contro la censura del drago cinese

Pubblicato il 27 Marzo 2010 - 18:52 OLTRE 6 MESI FA

Intorno a Google contro il drago cinese c’è il deserto. Nessuno degli altri big del mondo di internet lo sta infati seguendo nella sua battaglia contro la sempre più stretta censura di Pechino su internet. E questo a dispetto di un’opinione pubblica, perlomeno occidentale, che invece sostiene fortemente la libertà di informazione sulla rete nel Paese della Grande Muraglia.

Secondo un’analisi del New York Times, né Microsoft né Yahoo hanno imitato la scelta di Google, che ha deciso di chiudere il motore di ricerca cinese e dirottare il suo traffico su Hong Kong. Questo perché nel gigantesco mercato asiatico i loro interessi sono molto più radicati e il loro giro d’affari molto più importante rispetto a quelli di Google: dalla Cina, infatti, la società di Larry Page e Sergey Brin ricava solo fra l’1 e il 2% dei suoi 6,5 miliardi di dollari di profitto annuale. Briciole, insomma.

L’unico big a sostenere Google è Godaddy.com, società di Scottsdale, Arizona, leader mondiale nel settore della registrazione dei domini, che ha fatto sapere che di domini, in Cina, non ne aprirà più. Una decisione presa dopo che il governo di Pechino ha stabilito che per aprire un sito il cliente deve fornire dati aggiuntivi, come ad esempio la sua fotografia. Imposizione insostenibile secondo Godaddy.com, che così per protesta non aprirà più domini .cn, ma continuerà a gestire quelli esistenti, un business che va avanti da 2005.

A guardar bene, però, anche sul grado di coraggio di Godaddy vanno fatte delle precisazioni: dalla Cina, infatti, anche loro ricavano appena l’1% dei loro profitti annuali, che si attestano intorno al miliardo di dollari. Inoltre, a spulciare gli ultimi comunicati della società, risale a un mese fa un comunicato stampa dai toni entusiastici intitolato “Costruire una presenza online in Cina con Godaddy ora è più facile”.

A quanto pare, infatti, Godaddy ha appena stretto un accordo con Alipay, la più grande piattaforma di pagamenti online della Cina, che vanta 270 milioni di utenti. Riusciranno le ragioni della libertà sul web a prevalere su quelle del business? Se questo continuerà a valere al massimo il 2%, probabilmente sì.