Il Papa a Berlusconi: ci vuole cambiamento

di Marco Benedetto
Pubblicato il 6 Aprile 2010 - 01:01 OLTRE 6 MESI FA

Chi è quello a sinistra che bacia l'anello del Papa?

Se avete dei dubbi su chi è più forte, la Chiesa o gli altri, leggetevi la cronaca dell’omelia di Papa Benedetto XVI, la  notte del Sabato Santo, in San Pietro, e non avrete più dubbi.

D’altra parte ci sono duemila anni di storia a confermarlo. In questi venti secoli è caduto l’impero romano (ci hanno sempre voluto far credere che la causa sia stata la persecuzione dei cristiani, ma pare che le cause fossero altre, economiche e militari), si sono alternati re e imperatori, i confini degli stati si sono dilatati e ristretti, ma la Chiesa è diventata un regno, spirituale, globale e, sia pur con alti e bassi, ha conservato peso, potere e prestigio. Di questi tempi le cose non girano al massimo, ma la Chiesa può ancora vantare con qualche ragione di avere spostato parecchi voti dalla sinistra alla destra in nome dell’opposizione all’aborto (solo una coppia di geni come d’Alema e Bersani poteva pensare alla Bonino come candidato nel ventre profondo della cristianità, a meno di essere determinati a perdere).

A onor del vero se la sono cavata con onore anche quelli delle altre religioni, segno che la fede è qualcosa di molto radicato nell’animo umano ed è qualcosa con cui nessuno politico può sperare di non fare i conti.

Fermiamoci all’occidente: l’Islam, pur con qualche battuta d’arresto, conserva il bacino di proseliti che conquistò ai tempi della sua quasi magica espansione; in Russia, dopo decenni di comunismo che imprigionava i preti e mandava al gulag i credenti, la prima cosa che fece il post comunista Eltsin fu ricostruire a Mosca la gigantesca chiesa che Stalin aveva distrutto e sabato notte, Putin e Medvedev, come due chierichetti, se ne sono stati in piedi per ore ad assistere all’interminabile rito pasquale della religione ortodossa (in Polonia, ricordiamo, hanno provato a perseguitare la Chiesa, hanno incarcerato un coraggioso cardinale, ma quando Karol Woityla partì per Roma per il conclave che l’avrebbe fatto Papa, viaggio con gli onori di un capo di stato: e il comunismo non era ancora caduto).

Tutti questi flash si accendono leggendo le parole di Benedetto XVI. In queste settimane lo hanno attaccato proprio lui in persona da tutte le parti, arrivando a chiederne le dimissioni. Lo ha fatto il settimanale tedesco Spiegel, che è un eccellente giornale, ma quando i giornali si immischiano nella politica e, invece di raccontarla, se ne fanno soggetti, e chiedono le dimissioni di qualcuno, da Titano a Titano, appaiono un po’ patetici. Infatti ormai i potenti hanno capito, fanno conto di non avere letto e tirano avanti indisturbati. Solo Berlusconi si è fatto una fissa di Santoro e questo, più di quel che dice Santoro, ha contribuito a fargli perdere parecchi punti presso l’opinione pubblica e parecchi voti.

Ma Joseph Ratzinger non è Silvio Berlusconi. Accetta di incontrarlo per qualche minuto all’aeroporto tra un volo e l’altro, come si fa col rappresentante di un importante fornitore, si espone in modo esagerato a favore di Guido Bertolaso, ma se uno pensa a quel che gli italiani hanno speso per i viaggi del Papa, tramite Bertolaso, capisce anche l’entusiasmo pontificio.

Ma poi viene l’occasione di parlare da San Pietro e non una domenica qualunque, ma proprio la vigilia di Pasqua e allora il Papa mette i puntini sulle i e fa capire che cosa pensa di questi poveri mezzi credenti o miscredenti che si affannano per cose di nessuna importanza se misurate con il metro dell’eternità o,quanto meno, dei millenni.

Parlando in San Pietro il Papa non ha fatto il minimo accenno alcuno alle polemiche, agli scandali e agli attacchi che hanno tormentato la Chiesa cattolica e lui stesso nelle ultime settimane. Quel compito lo ha lasciato a un manipolo di cardinali, che hanno snocciolato le loro dichiarazioni di fedeltà e lealtà attraverso le agenzie di stampa. Il Papa, invece, ha dedicato la sua omelia alle virtù taumaturgiche della fede e alla necessità di iniziarne il cammino rinunciando al peccato, inteso come “adorazione del potere”, “cupidigia”, “menzogna”, “crudeltà” e “dissolutezza”, o meglio ancora, secondo l’elenco citato da san Paolo: “fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere”: occorre deporre le “vesti vecchie” del peccato, liberarsi, oggi come nell’antichità, “dall’imposizione di una forma di vita che si offriva come piacere e, tuttavia, spingeva verso la distruzione di ciò che nell’uomo sono le sue qualità migliori”.

A dire il vero, queste son cose che le varie Chiese, non solo la cattolica,  predicano da un paio di millenni e quindi non si può pensare che il Papa avesse in mente un bersaglio preciso: pensava indistintamente a tutti noi. Poi però il Papa ha preso spunto da antiche leggende giudaiche per precisare il senso dell’immortalità secondo la Chiesa.

Da sempre, ha detto il Papa, l’uomo cerca la “medicina dell’immortalità”, e “anche oggi gli uomini sono alla ricerca di tale sostanza curativa”. E “pure la scienza medica attuale cerca, anche se non proprio di escludere la morte, di eliminare tuttavia il maggior numero possibile delle sue causa, di rimandarla sempre di più, di procurare una vita sempre migliore e più lunga”. Una tentazione sulla quale il pontefice invita ad interrogarsi, osservando che, “se si riuscisse, magari non ad escludere totalmente la morte ma a rimandarla indefinitamente”, “l’umanità invecchierebbe in misura straordinaria, per la gioventù non ci sarebbe più posto. Si spegnerebbe la capacità dell’innovazione e una vita interminabile sarebbe non un paradiso, ma piuttosto una condanna”.

Il Papa ha concluso dicendo: “La vera erba medicinale contro la morte, dovrebbe essere diversa. Non dovrebbe portare semplicemente un prolungamento indefinito di questa vita attuale”, ma “trasformare la nostra vita dal di dentro”, “creare in noi una vita nuova”, come avviene con il Battesimo.

A questo punto è stato impossibile non pensare che Benedetto XVI, con le sue maniere celestiali, guardando da un’altra parte per non scendere nel personale, volesse farsi gioco pubblicamente di due personaggi pubblici italiani, il primo ministro Silvio Berlusconi e il prete don Luigi Verzé, fondatore dell’ospedale San Raffaele. Berlusconi considera il San Raffaele il suo ospedale preferito, vi si è fatto ricoverare dopo l’incidente della statuetta in faccia, ed è accomunato a Verzé, tra tante cose, anche dalla speranza che la medicina produca farmaci capaci di prolungare la sua, soprattutto, e se capita anche la nostra vita.

Questo vale per Berlusconi, Verzé e in fondo per tutti noi: è di sabato la notizia che l’americana Desirée Pardi, la quale aiutava i pazienti a rassegnarsi all’idea della morte, quando ha scoperto di avere il cancro, ha deciso di lottare fino alla fine per vivere. Su queste nobili aspirazioni il Papa ha gettato un secchio d’acqua gelata, con il freddo realismo di chi non ragiona in termini di anni, ma di eternità o, al minimo minimo, di millenni.

E ha lanciato anche un messaggio che suona sinistro: vecchi, levatevi di torno, lasciate spazio al cambiamento, il mondo vuole l’innovazione, non la conservazione. Detto dal capo della Chiesa cattolica, che ha impiegato secoli prima di accorgersi che Galileo aveva ragione, merita qualche riflessione.