Intervento in Libia. Berlusconi nicchia, Frattini si ribella, dubitala Lega

Pubblicato il 19 Marzo 2011 - 20:02| Aggiornato il 15 Dicembre 2011 OLTRE 6 MESI FA

Aderire alla guerra di Libia e come, ancora una volta, dopo le celebrazioni dell’unità d’Italia, la Lega assume una posizione distante non solo dalla maggioranza dei politici italiani, un po’ pecoroni perché l’ha detto Obama senza calcolare che Obama vive dall’altra parte del mondo, ma anche dalla stessa maggioranza di governo di cui fa parte.

Bossi si difende dicendo che la sua linea è la stessa della Germania,ma, fa notare Stefano Folli sul Sole 24 Ore, “la linea di Berlino, in sostanza ostile all’intervento militare, non è quella del governo italiano che è invece vicino – forse di malavoglia – a Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. Siamo al paradosso. La Lega, partito di governo con importanti responsabilità, coltiva in politica estera una sua autonomia”.

Folli si chiede “come dovrebbe reagire Berlusconi?”.

Risponde: “Non c’è dubbio che qualcosa scricchiola nel centrodestra. Del resto, anche il gruppo dei «Responsabili» si è defilato: dovrebbero essere i fedelissimi del premier, ma finora non sono stati accontentati nelle loro richieste di posti nel governo. Perciò fanno conoscere il loro malumore. Una ragione in più che dovrebbe consigliare al presidente del Consiglio un chiarimento politico, da un lato, e una presa di posizione pubblica, dall’altro”.

Nota ancora Folli che appare strano e dà anche fastidio il silenzio di Berlusconi: “L’Italia sta per essere coinvolta in un’operazione militare che trova un ampio sostegno in Parlamento, dal Pdl ai centristi al Pd (ma non l’Italia dei Valori). Sarebbe opportuno che Berlusconi spiegasse ai cittadini cosa sta succedendo e perché. Se non altro perché Gheddafi era fino a ieri un nostro conclamato amico ed esiste un trattato, sospeso ma non cancellato, in cui si garantisce (sulla carta, appunto) che azioni militari non partiranno dal territorio italiano contro la Libia”.

Folli si chiede poi cosa voglia ottenere la Lega. La risposta è: “Intende soprattutto rafforzare il suo profilo autonomo in vista delle prossime amministrative. Guerra è una brutta parola, sempre impopolare. Dichiararsi contrari (specie quando tutti gli altri, o quasi, si trovano d’accordo) può fruttare molti consensi. Peraltro i leghisti farebbero rientrare le truppe anche da Kabul. E in fondo Bossi sa che tanti nel partito di Berlusconi sono scettici sull’intervento: per i vecchi rapporti con Gheddafi e per il timore di vedere francesi e inglesi installati nel deserto, a scapito dei nostri interessi economici. Ancora una volta Bossi dice quello che altri pensano e non possono dire”.

Sullo stesso quotidiano, la posizione della Lega è analizzata da Barbara Flammeri.

“Le resistenze della Lega alla partecipazione dell’Italia all’operazione per la no fly zone in Libia erano note. Ma quando Umberto Bossi ha detto chiaro e tondo che il Carroccio ha la stessa posizione della Germania, che sulla risoluzione Onu si è astenuta, non ci sono stati più dubbi. Anche perché nel frattempo indiscrezioni confermavano il dissenso espresso da Roberto Calderoli nel Consiglio dei ministri”.

“Il Carroccio nel centrodestra è portatore da sempre di una linea non interventista. Ma in questo caso ha una ragione in più per perorarla: la preoccupazione di essere travolti dagli effetti della crisi libica, primo fra tutti quello migratorio ma anche quello militare vero e proprio, vista la prossimità dell’Italia a Tripoli. Ecco perché i leghisti ancora una volta preferiscono smarcarsi”.

E in tutto questo, Berlusconi che fa? Secondo Gerardo Pelosi, sempre sul Sole 24 Ore, la politica italiana si limita a ritagliarsi una dignitosa visibilità bipartisan ben sapendo, che, comunque vada a finire, per l’Italia il saldo sarà comunque negativo.

“La “partnership” esclusiva che il premier, Silvio Berlusconi, era riuscito faticosamente a costruire in questi anni con il colonnello archiviando con un maxirisarcimento (in carico all’Eni) il passato coloniale, non potrà che lasciare il posto a un rapporto più “normale” con la futura leadership libica, dove troveranno spazio geopolitico e nuovi affari anche quei paesi le cui insegne campeggiano sulle carlinghe dei caccia (inglesi, francesi e americani) pronti a decollare per imporre la no-fly zone anche a suon di bombe”.

Le posizioni del governo sull’intervento in Libia non possono essere ricondotte a semplici questioni di “cortile Italia”, in uno scontro (che pare, comunque, vi sia stato) tra ministri “interventisti” come Frattini e La Russa, leghisti come Maroni e Bossi preoccupati solo degli effetti indotti sul fronte migratorio e un presidente del Consiglio pronto a mediare ma pieno di dubbi e preoccupato, soprattutto, per i rischi di una crescente instabilità dell’area, di un protrarsi della guerra civile libica.

Persino un’ombra di Berlusconi come il ministro degli Esteri Franco Frattini si è ribellato a Berlusconi, dicendogli più o meno: “Caro Silvio, capiamo tutti la tua prudenza e in parte la condividiamo ma questa volta non possiamo rimanere fuori da iniziative Onu e Nato; verremmo tagliati fuori e si deciderebbe sopra le nostre teste”.

Lo scenario che si andava profilando per l’Italia era già abbastanza chiaro giovedì, quando il rappresentante italiano alle Nazioni Unite, l’ambasciatore Cesare Ragaglini, ha informato Berlusconi che Russia e Cina erano pronte ad astenersi nel voto al Palazzo di vetro aprendo la strada alla nuova risoluzione 1973 sulla Libia”.,

Inoltre, il presidente Napolitano ha auspicato giovedì a Torino che “non si resti indifferenti ai fronte alle attese di libertà e democrazia che giungono dal popolo dell’ex colonia italiana”, la più autorevole copertura a sinistra, nota Pelosi, nel voto bipartisan che ha compensato le defezioni della Lega con il Pd pronto a sostenere il ruolo attivo dell’Italia nella vicenda libica”.