« Cosa crederanno di aver dimostrato, impedendo a Marcello Dell’Utri di parlare? Di compiere un’azione fieramente antifascista, visto che a contestarlo a Como è stata l’Associazione dei partigiani? O di irrobustire la lotta alla mafia, come avranno pensato i giovani dei centri sociali che lo hanno fatto andar via? O di dar vita all’ennesima manifestazione di intolleranza, togliendo il diritto di parola a un politico bollato e vituperato come un nemico mostruoso? La solita storia, purtroppo. Che in questo caso si tinge anche di un po’ di grottesco, visto che la «colpa» di Dell’Utri sarebbe quella di voler pubblicare dei diari di Mussolini. E allora, quale sarebbe il delitto? […] Ma la polemica culturale non c’entra niente con le liturgie della messa al bando decretata da un manipolo di prepotenti. Il bavaglio è una brutto simbolo. […] Basta rispettare le regole della democrazia. Senza distinguo pretestuosi.» [Il Pompiere della Sera, 31 agosto 2010 – prima pagina]
Pierluigi Battista porta lo stesso cognome del Giovanni, ma tutto ha tranne che del predicatore. Sale in cattedra per tenere una lezione di democrazia, e si scorda – che sbadato – di ricordare ai lettori del Pompiere della Sera che Marcello Dell’Utri ha una condanna in primo e in secondo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. E fa pure il senatore, il Marcello dei quattro pensionati al bar.
Evidentemente al Corriere gli editorialisti sono sbadati: pochi giorni fa si erano scordati di riportare le accuse di Spatuzza a Schifani, che sarebbe nientepopodimeno che il collegamento tra la mafia e l’accoppiata Dell’Utri (solo per coincidenza, quello della contestazione di ieri) – Berlusconi (quello dell’undicesima domanda che Bossi non pose mai). E Schifani, tra l’altro, al Senato non fa il senatore ma si occupa di presiederlo direttamente.
Considerato dunque che al Senato ci hanno mandato anche tipetti raccomandabili eletti dalla ‘ndrangheta, come Nicola Di Girolamo, e considerato che tre indizi fanno una prova – ma di indizi volendo ce ne sarebbero a iosa -, direi che la lotta alla mafia ormai non si fa portando a termine blitz scenografici a Palermo o a Corleone, ma facendo una ben più agevole retata in Parlamento.
Care forze dell’ordine, rifletteteci: sono tutti chiusi nello stesso stanzone, non hanno mitra in mano e non ci sono cunicoli o passaggi segreti ad agevolare la fuga. Cos’è, non vi piace vincere facile?