Pensioni: anche la Banca d’Italia ci dice che scenderanno. Grazie

Pubblicato il 19 Dicembre 2010 - 19:39 OLTRE 6 MESI FA

Istituzioni e giornali sembrano ingaggiati in una nobile gara su chi ci spaventa di più, senza però essere capaci di spiegarci perché e di suggerirci delle soluzioni.

Ora tocca alle pensioni. Che debbano calare, rispetto alla retribuzione, lo si sa da anni. Improvvisamente, sei giorni fa, il Corriere della Sera ci ha rivelato i conti dell’Inps, in base ai quali i nostri figli avranno un quinto in meno di pensione, rispetto allo stipendio, di quanto non ne prendano quelli che vanno in pensione ora.

La Banca d’Italia, che alterna periodi di saggio silenzio a momenti di cupo allarmismo, ha affidato ora a Repubblica la sua previsione, ancor più apocalittica, perché meno elaborata e articolata di quella d’Inps. Riferisce Roberto Petrini che “un lavoratore del settore privato che nel 2010 sarebbe andato in pensione con il 70 per cento dello stipendio, nel 2040 – a parità di requisiti contributivi – avrà soltanto il 52 per cento. Un taglio drastico dovuto soprattutto alla riforma dei cosiddetti coefficienti di trasformazione, adottata nel 2007 e resa operativa quest’anno, che modifica il meccanismo di calcolo della pensione e ne riduce l’importo”.

Gli italiani se ne sono resi conto, aggiunge Petrini, ma ciò non toglie che  “questa situazione, come segnala lo studio, comporterà rischi anche per la collettività che «dovrà farsi carico di interventi di natura assistenziale », anche perché sulla base del campione dei bilanci della Banca dItalia, che contiene anche ilrisparmio e i patrimoni, emerge che il 47,3 per cento dei lavoratori andrà in pensione con meno del 60 per cento dello stipendio, ma di questi un 15 per cento appartiene alla fascia più povera della popolazione, cioè senza altre risorse oltre alla pensione”.

Nessuna speranza dalla previdenza complementare: lo ha detto l’Inps l’altro giorno, lo conferma oggi la Banca d’Italia, perché,  come ci dice Petrini, sono “solo il 20 per cento degli occupati coloro che hanno aderito ai fondi pensione per avere un trattamento integrativo”.

Non ci spiegano i giornali, che a suo tempo fecero una acritica campagna a favore della previdenza integrativa, meno che mai Inps e Banca d’Italia, perché la previdenza integrativa è fallita. La causa principale è stata la poca fiducia dei lavoratori in un marchingegno fatto su misura per distribuire ai sindacalisti in pensione poltrone nei consigli di amministrazione e ancor più perché fu impostata sulla base dell’esproprio del tfr. Il tfr, per la gente normale, si chiama liquidazione, sono soldi che i lavoratori dipendenti consideravano un predellino della loro vecchiaia, potevano servire per finanziare cure mediche, l’acquisto o la sistemazione di una casa, magari anche il matrimonio della figlia.

L’idea dei fondi pensioni era stata portata avanti dal governo Prodi, e gli esempi che venivano dall’America erano incoraggianti, perché se ne parlava quando le borse mondiali erano in fase di espansione da bolla. Poi vennero tempi più cupi, si cominciò anche a dubitare della bontà dell’idea di sostituire la pensione pubblica con forme private. Qualcuno più accorto si informò meglio e scoprì che il primo a imporre la previdenza privata fu Pinochet in Cile e in America Bush era per una privatizzazione totale e la sinistra si opponeva. In Italia, però, avanti tutta, anche perché qualcosa bisognava mettere davanti al naso della gente la cui unica certezza era una drastica riduzione  delle pensioni rispetto agli anziani, mentre dall’Europa tutti dicevano che i conti pubblici rima o poi per colpa delle pensioni sarebbero saltati.

Nessuno si è mai chiesto veramente se la voragine pensionistica era dovuta solo alle generose pensioni pagate agli ex dipendenti o magari sul dissesto influisse anche il fatto che su quel conto era stato scaricato l’onere di un pezzo di stato sociale.

Arrivò Berlusconi, che subito venne accusato di indulgere nel conflitto di interessi perché azionista di una compagnia di assicurazioni, Mediolanum, dato che tutto dava da pensare che i principali operatori nel nuovo territorio delle pensioni integrative sarebbero state appunto le assicurazioni. Berlusconi, per il quale l’unico conflitto di interessi in cui meriti indulgere è quello della tv, mollò subito tutto, abbandonò al loro destino le assicurazioni e diede un calcio anche alle imprese, per le quali in tfr rappresenta un costo, certamente, ma nell’attesa dell’uscita del dipendente è anche una forma di finanziamento a tasso non zero ma forse un po’ agevolato.

I lavoratori non gradirono l’esproprio, anche se pochi riportarono cosa successe a Mirafiori quando i leader sindacali furono costretti a scappare nell’ignominia, accusati dall’assemblea di non avere tutelato abbastanza gli interessi dei dipendenti nei confronti di questo esproprio governativo.

Ora ci vengono a spaventare, Inps, Banca d’Italia, giornali, ma perché non ci avevano messo in guardia a suo tempo, invece di coprirci di vano trionfalismo?

E ora cosa si può fare? In un momento come questo c’è poco da sperare in una soluzione di buon senso e chi paga saranno sicuramente i giovani, ma che è quanto meno responsabile di silenzio complice si limita a gridare al lupo al lupo.