L’autore di Gomorra: “Ho rifiutato proposte politiche”. Ha fatto bene e conferma che chi mescola letteratura e politica è inadeguato

Pubblicato il 9 Aprile 2010 - 19:01| Aggiornato il 17 Aprile 2010 OLTRE 6 MESI FA

Come la bella di Torriglia, tutti lo vogliono ma lui si nega. Roberto Saviano, che con il suo libro Gomorra ha raggiunto fama e celebrità proiettando in tutto il mondo l’immagine di una Italia di mafiosi e camorristi come se tutti vivessimo alla periferia di Napoli, pare sia stato uno degli uomini più ricercati d’Italia.

La camorra non c’entra. Piuttosto la politica. Da Walter Veltroni alla Sinistra Arcobaleno, passando per il Popolo della Libertà, sponda An, tutti hanno bussato alla sua porta. Se c’era bisogno di una conferma del livello di confusione mentale cui sono giunti i politici di sinistra, i loro affini e forse anche un po’  i giornali in genere, che di Saviano hanno fatto una specie di Garibaldi, basta leggere quel che lui dice in un’intervista al Corriere della Sera: «La politica non è il mio mestiere. Non si può parlare di mafia ad una sola parte . È un argomento sul quale non ci si può permettere di essere partigiani. La mia responsabilità è la parola». Come il Vangelo di san Giovanni.

Difficile capire da un lettore medio, ma forse la parola vive di una vita propria, dannunzianamente.

Destra sinistra e centro. All’appello non manca proprio nessuno.

Comincia con Veltroni, confermando da un lato l’inadeguatezza di Veltroni a guidare quello che era il maggior partito italiano e dall’altro il poco amore per il segreto dello scrittore napoletano: «Quando Veltroni mi ha chiamato nel suo ufficio al Campidoglio, abbiamo parlato a lungo di mafia e appalti. Mi disse che quello sarebbe stato uno dei primi punti della sua agenda». Per essere onesti, non sembra, dal racconto, che Veltroni gli abbia offerto mai nulla, ma solo che sia stato un po’ avventato nel tentativo di compiacere il famoso scrittore. Promessa mantenuta? Chiede il giornale. Saviano giudica: «Non mi sembra.

Ma il Pd è in buona compagnia. Purtroppo, la lotta alla mafia è la grande assente di questa campagna elettorale, a sinistra come a destra».

Non gli si può dare torto quando individua un grande errore della sinistra: «Dare sempre per scontato che la mafia stia dall’altra parte. Il complesso di superiorità applicato alla criminalità organizzata. Credersi immune dalle infiltrazioni, pensare che questo sia sempre e solo un problema degli altri».

Gomorra l’ha reso uno dei volti e dei nomi italiani più noti anche a livello internazionale. In questi giorni sfiorerà il traguardo di sei milioni di copie vendute.

L’autore oggi è un eroe della lotta al potere mafioso, forse non aspira al posto di Maroni, ma a quello di giudice supremo dell’etica politica certo sì: «Fausto Bertinotti mi ha fatto arrivare una proposta tramite l’assessore regionale campano Corrado Gabriele. [e se fosse stata una iniziativa locale?] Io ho molto apprezzato il lavoro di Forgione alla commissione antimafia, ma credo che anche la sinistra debba fare outing, e ammettere di non essere stata così rigorosa nell’allontanare gli affaristi collusi con la mafia».

La lista dei pretendenti non finisce qui. «Alleanza nazionale mi ha mandato messaggi di apprezzamento. Persino l’Udeur prima che si dissolvesse». Dichiara di essere cresciuto in una terra dove Pci e Msi stavano dalla stessa parte, contro la camorra.

Conclude: «Vorrei tanto che il centrodestra riprendesse i valori dell’antimafia, quelli che aveva Giorgio Almirante e che avevano ispirato Paolo Borsellino. Li vedo trascurati, nonostante una base che al Sud ha voglia di sentirli affermare». Affascinante l’accostamento tra Almirante e Borsellino, solo perché il giudice ucciso dalla mafia e icona della sinistra era iscritto al Fuan.

Saviano spiega di avere scritto Gomorra perché voleva fare un libro che davvero cambiasse le cose: «All’inizio, la camorra lo ignorò. I miei problemi cominciarono verso le centomila copie. La gente pensa che io sono come Salman Rushdie, colpito da una fatwa della camorra. Ma non è così. Lui rischia per quel che scrive, io perché mi leggono. Non è Saviano ad essere pericoloso, ma Gomorra e i suoi lettori».