Cattelan: Hitler nel ghetto di Varsavia opera spirituale

Pubblicato il 31 Dicembre 2012 - 09:14 OLTRE 6 MESI FA

Maurizio Cattelan, artista italiano molto noto all’estero e spesso al centro di polemiche, ha spiegato in una intervista a Repubblica le ragioni della sua ultima scelta controversa: portare Hitler nel ghetto di Varsavia.

Non si è trattato, ha detto Cattelan a Dario Pappalardo, di una provocazione: “La mia è un’opera spirituale. Ho portato a Varsavia il mio Hitler inginocchiato perché dialogasse con la città”.

La statua di Hitler, opera dello stesso Cattelan, è esposta nell’ex ghetto di Varsavia, città che a Cattelan ha dedicato una grande mostra, che sta richiamando lunghe code di visitatori, aperta fino al 24 febbraio, al castello Ujazdowski: la statua di Hitler, iper realistica, la si può vedere solo di spalle e da lontano, appoggiata a un cancello della via Prozna, come riferisce Pappalardo.

Non tutti hanno gradito. Il Centro Simon Wiesenthal ha definito l’operazione “una provocazione insensata che insulta la memoria degli ebrei vittime del nazismo”, anche se il rabbino capo della Polonia, Michael Schudrich, ha detto invece che “La statua messa lì può avere addirittura un effetto educativo”

Alla domanda precisa se non creda che la esposizione del suo Hitler non costituisca una “scelta provocatoria”, Cattelan ha risposto: “Più che “provocatoria” l’aggettivo che mi viene in mente pensando a quell’opera è spirituale, non c’è volontà di provocare. Nessuna mia opera è mai nata con quell’intento. Hitler è stato esposto anche in Svezia, un Paese neutrale durante la Seconda guerra mondiale».

Proporre il ritratto di Hitler in un luogo simbolo della Shoah ha però un significato diverso…

“Sì, portarlo a Varsavia, è ben diverso. Ma mi piaceva l’idea che un’opera del genere dialogasse con la città. Ci sono stato nel 2006 mentre lavoravo alla Biennale di Berlino e poi lo scorso anno. Ho visitato il ghetto, i luoghi storici e tutto questo ha avuto un impatto molto forte su di me.

Come ha deciso di collocare l’opera lì?

“Ho pensato al gesto di Willy Brandt che arrivando a Varsavia 25 anni dopo la guerra andò a inginocchiarsi davanti al monumento dedicato agli ebrei vittime della Shoah. Da qui è nato il mio dialogo con quel posto”.

“Per il Centro Wiesenthal si tratta di una “provocazione insensata”…

Ma non c’è alcuna volontà di provocare. Da una mia mostra aspetto che ponga delle domande, più che dare risposte. Una mostra è fatta da opere il cui stesso significato cambia con il tempo. Vent’anni fa non ci ponevamo le domande di oggi. Se un’opera realizzata più di dieci anni fa, come è il caso di continua provocare discussione significa che assolve ancora al suo ruolo”.