Mantegna a Brera “da vedere in ginocchio”, Andrea Carandini contro l’allestimento

Mantegna a Brera "da vedere in ginocchio", Andrea Carandini contro l'allestimento
Mantegna a Brera “da vedere in ginocchio”, Andrea Carandini contro l’allestimento

MILANO – Mantegna a Brera “da vedere in ginocchio”, Andrea Carandini contro l’allestimento. Il Cristo morto di Andrea Mantegna, capolavoro custodito al Museo di Brera, è stato posizionato (la scelta è del regista Ermanno Olmi) non all’usuale altezza dello sguardo ma, contesta Andrea Carandini sul Corriere della Sera, a quella delle “pudenda maschili, che tutto hanno fuorché gli occhi”. Per abbracciarne la forza  evocativa, per ammirarne la fattura, occorre disporsi a un inchino davanti alla parete buia, bisogna inginocchiarsi in un atto di immedesimazione con la scena rappresentata. E’ giusto disporre un quadro eliminando il contesto espositivo che è la ragione sociale di un museo? E’ una scelta corretta quella di trattare un quadro fornito di cornice come fosse una scultura per consentirne una fruizione artificialmente tridimensionale?

L’arte è educazione all’artificio, non alla naturalità sacrale. Se poi mettiamo l’oggetto smaterializzato alla stessa altezza dal pavimento che supponiamo essere quella in cui nel quadro è il Cristo, cioè sul coperchio di un sarcofago, allora ancor più rendiamo magico l’oggetto artistico, fatto al contrario per possedere una parte del mondo o di un sogno in una stanza. Le stanze servono per vivere e per ciò utilizziamo mobili bassi come letti, tavoli, sedie, cassapanche e alti come armadi. I quadri si dispongono pertanto sopra i mobili bassi, in modo da poterli vedere, sia seduti che in piedi. Disporre invece un quadro a 67 centimetri dal suolo, come oggi a Brera, per ottenere un effetto illusionistico, e ciò in un museo dove si sta in piedi, significa per me avere il corpo di Gesù all’altezza delle pudenda maschili, che tutto hanno fuorché gli occhi. Quindi, per vedere l’opera bisogna inginocchiarsi, con Maria e Giovanni… (Andrea Carandini, Corriere della Sera)

Esposto a meno di un metro da terra, il Cristo di Mantegna è abbassato al livello di una tv in camera, perfetta per fruirne da sdraiati, avvilente per ogni ambizione pedagogica di educazione e rispetto per la tradizione iconografica e per le funzioni di un museo. Ricordiamo che l’allestimento riguarda un quadro ospite permanente dell’Accademia, non si tratta insomma di una mostra personale transitoria dove pure qualche strappo alla regola può essere anche ammesso. In fondo Carandini difende l’opera dalla sua effimera spettacolarizzazione a vantaggio della salvaguardia filologica di un luogo pubblico, di “un bene comune, come oggi fin troppo si ripete”.

Se passiamo al contesto, abbiamo oggi una galleria con le pitture del ‘400 raffinata, quasi leccata, con pitture del ‘400 e col Bellini sul fondo. Dietro, in buio sottoscala, è lo schermo quasi in terra, del massimo feticcio. Stupire, piacere ai giovani è stata l’intenzione? Ma noi dobbiamo invece educare a vedere le cose d’arte nella loro materialità, a contatto diretto con la forma, da giudicare sotto luce il più possibile naturale, priva di effetti. Qui invece l’opera c’è, eppure è anche sottratta, inghiottita in un altrove magico, nello schermo/loculo, che nulla ha a che vedere con la decenza museale. (Andrea Carandini, Corriere della Sera)

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