ROMA – Alla vigilia delle elezioni in Birmania Raimondo Bultrini è andato a parlare con Aung San Suu Kyi che dice: “Brogli e intimidazioni non ci fermeranno. Votatemi, per la democrazia”. Scrive Bultrini:
La Signora, The Lady, 67 anni che sembrano molti di meno, un giorno è svenuta al termine di uno delle centinaia di comizi per raccogliere voti nei villaggi remoti lungo le coste meridionali e sulle montagne del Nord ancora piagate da una guerra dimenticata, dove tre collegi elettorali dello Stato Kachin sono stati annullati per “motivi di sicurezza”.
Questo non è certo un buon segnale riguardo al cambiamento promesso dal regime, fa capire Suu Kyi. Eppure lei non ha davvero l’aria di chi intenda gettare la spugna: queste votazioni “sono solo un passo verso il primo stadio della democrazia” – assicura – “andremo avanti con pazienza, perché così ci chiede la gente”. “Non ho pentimenti e andava messa nel conto una certa reazione”, dice citando casi di truffe, violenze fisiche e psicologiche, attacchi ai seggi, ai candidati e agli elettori messi in atto dal partito del passato regime, l’Usdp.
Se le si chiede chi siano i responsabili, lei lascia intuire che essi non vanno cercati tra gli uomini del suo nuovo alleato, la colomba del regime Thein Sein, attuale presidente col quale Suu Kyi ha stretto un patto da 8 mesi. “Ho fiducia in lui – ribadisce – , siamo d’accordo: il processo democratico deve andare avanti. Quanto al resto (l’influenza dei falchi, ndr) non so dire quanti sostengano il presidente in questa opera di riforma, specialmente tra l’esercito, ma la riuscita e l’avanzata del cambiamento dipendono dalle forze armate birmane nel loro insieme”. È evidente, però, dalle sue parole, che gli autori dei brogli e delle intimidazioni sono uomini che prendono ordini “da alti ufficiali”.
A dispetto dei venti contrari che soffiano sulla riconciliazione, la Nobel birmana difende anche la sua scelta di far cancellare dal cuore del popolo, come ha fatto lei, il sentimento di vendetta verso le atrocità commesse dai leader del passato regime, molti ancora enormemente influenti. “Non mi interessa una giustizia punitiva (“non sono io a dover punire”, aggiunge poi) ma una giustizia, che restituisca l’armonia. Ciò non toglie – precisa – che il suo partito collaborerebbe volentieri a un’eventuale inchiesta internazionale per indagare sui crimini commessi dai militari”. (…)