Prega in chiesa, poi il carcere: inutile prolungare l’agonia. Fabrizio Roncone sul Corriere della Sera

Pubblicato il 23 Gennaio 2011 - 13:45 OLTRE 6 MESI FA

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a Salvatore Cuffaro per reati di mafia: l’ex governatore siciliano ha deciso di scontare la pena in carcere, e nelle sue ultime ore da “uomo libero” ha deciso di pregare. Come se niente fosse, come se quello che gli è successo rientrasse nella quotidianità: un salto in chiesa, le raccomandazioni della moglie sui vestiti da portare in cella. Fabrizio Roncone sul Corriere della Sera ha ricostruito i momenti passati da Cuffaro prima dell’ingresso a Rebibbia.

«Totò, amore mio, portati il pigiama di flanella…» . «Eh, ma lo sai… la flanella pizzica» . «Lì farà freddo, Totò» . «Sì sì, certo, amore, hai ragione: lì dentro farà freddo…» . Giacoma Chiarelli non è più la consorte di un senatore della Repubblica, ma la moglie di un condannato che sta preparando il borsone con cui entrerà nel penitenziario di Rebibbia. Sono in camera da letto. «Totò, però potresti aspettare ancora un giorno…» . «Un giorno? E che senso avrebbe un giorno in più di libertà?» . «Ti prego, Totò… un giorno ancora…» . «No, vado, mi consegno subito… aspettare, te l’ho spiegato amore mio infinito, allungherebbe solo l’agonia» .

La pioggia riga i vetri, una luce grigia entra rimbalzando sulla cupola del Pantheon. Totò Cuffaro ha gli occhi lucidi, tira su con il naso. Infila dentro due libri: «La fattoria degli animali» di George Orwell e un romanzo di George Simenon uscito da pochi mesi, «Il ranch della giumenta perduta» . Poi un maglione di cachemire. Il necessaire con lo spazzolino, il dentifricio, la schiuma da barba. Un pettine. Una coppola di panno. Gli occhiali di ricambio. «Questo pure me lo porto, però» (è una copia del Vangelo di Matteo). «E questa, naturalmente» (è un’immagine della Madonna di Santa Rosalia di Palermo). «Perché io lo so che la Madonna, comunque, non mi lascerà mai solo…» .

Quattro ore prima (le 9 del mattino). Un uomo chino, a mani giunte, nel riverbero dei lumini, nella cappellina in fondo a destra, dove finisce la gran navata della Basilica di Santa Maria sopra Minerva. Prega con un filo di voce, l’ex governatore della Sicilia: è venuto a pregare perché «così l’attesa della sentenza mi sarà più lieve» . Indossa un cappotto nero sui suoi cento chili tondi, che pure lo hanno aiutato nella sua carriera rapida, giocata su una formidabile flessibilità politica, con una simpatia a volte contagiosa, irrefrenabile, sempre mescolato alla folla, attraendola, baciandola -inevitabile il soprannome di «Totò vasa vasa» , Totò bacia bacia -e poi organizzandola, guidandola con questo suo faccione bonario, tondo -«se dimagrissi di cinque chili, perderei voti» -un faccione che adesso tiene chino sotto una non casuale tela della volta: «La coronazione di spine» del veneziano Carlo Saraceni (sec. XVII). Ad un certo punto si alza, va ad accendere una candela, nella fessura delle offerte una banconota da 50 euro. Tossisce, si soffia il naso, guarda l’orologio, non si accorge dei due uomini del Ros, dei due giovanotti in borghese che, con discrezione, lo tengono d’occhio da dietro una colonna. Poi torna a inginocchiarsi (raccontò di «aver fatto la Scala Santa di Roma in ginocchio per più di una volta» , e di essere stato a Lourdes, a Medjugorie, e poi a piedi fino a Santiago de Compostela, «perché la fede è anche sacrificio fisico» .

Da governatore siciliano tirava in ballo la Madonna così tante volte che un giorno i suoi 23 addetti stampa diffusero «una errata corrige» memorabile: «Si rispedisce il comunicato sulla giunta di governo in quanto, per un errore di battitura, è stato scritto il “parco delle Madonne”al posto di “parco delle Madonie”). Però questo è un rosario lungo e tragico, che si conclude quando un suo segretario lo avverte che «forse è arrivato il momento di tornare a casa. Dalla Cassazione fanno sapere che, probabilmente, la sentenza sta per essere emessa» .

Cuffaro sa che, per qualche tempo, potrebbe essere l’ultimo ritorno a casa -una passeggiata di trecento metri con passo lento -un bell’appartamento sopra il ristorante «Fortunato» , mentre nel salone lo aspettano la moglie e il figlio Raffaele, e poi uno dei due fratelli, Silvio, e amici cari come l’onorevole Saverio Romano, leader dei Popolari per l’Italia del domani, i parlamentari siciliani vicini a Cuffaro e non fedeli a Pier Ferdinando Casini. C’è un’atmosfera tesa. La Procura della Cassazione, chiedendo l’annullamento dell’aggravante mafiosa per l’episodio di favoreggiamento a Michele Aiello, ex sovrano della sanità privata siciliana, ha alimentato alcune dosi di ottimismo. Vengono servite tazzine di caffè. In un vassoio, biscotti. Che evocano, nella loro banalità, l’opulenza simbolica e molto siciliana dei cannoli che Cuffaro offrì ai dipendenti della Regione Sicilia la mattina dopo essere stato condannato in primo grado, cannoli che a molti parvero essere gonfi di ricotta e di arroganza. Il cellulare di Totò Cuffaro è squillato alle 12,50. Gli avvocati, dalla Cassazione. Poche parole. Cuffaro ha solo ripetuto: «Se… sette anni. Con… dannato» . Ha pianto. Ha singhiozzato. Gli si sono appannati gli occhiali. È stata una scena brutta. Dura. Dalla quale Cuffaro è uscito ed esce però con una sorprendente prova di coraggio e di dignità.

Dice Saverio Romano: «Dignità. Ecco, sì, questa è la parola giusta. La scriva» . Cuffaro, di suo, aggiunge: «È un’esperienza tremenda, che in me, però, rafforza sia la fiducia nella giustizia, sia la fede. Affronterò la pena come è giusto che sia, questo è un insegnamento che lascio ai miei figli… È una prova certamente non facile, ma io sono stato un uomo delle istituzioni, e poiché anche la magistratura è una istituzione, io la rispetto» . Chiede un bicchiere d’acqua. Gli avvicinano il telefonino. È la figlia Ida, di 22 anni, da Palermo. «Tu a papà una cosa sola devi promettere… devi studiare, devi continuare a studiare come sai e come fai. E ora ti bacia, papà, ti bacia forte…» . Lo aiutano ad infilarsi il cappotto. Si volta: «Vi voglio bene, voglio bene a tutti» . Così saluta Salvatore Cuffaro detto Totò, di anni 53.