De Cataldo su Repubblica: “I fantasmi della Banda della Magliana”

Pubblicato il 29 Aprile 2012 - 13:33 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Dopo la morte avvenuta a Roma durante una rapina di Angelo Angelotti, ex esponente della Banda della Magliana, si torna a parlare ancora una volta di quel gruppo di persone che tra gli anni Settanta e Ottanta seminò il panico nella Capitale.

Giancarlo De Cataldo firma su Repubblica del 29 aprile un pezzo che ricostruisce le gesta di questo gruppo di criminali dal titolo “I fantasmi della Banda della Magliana”. Blitz Quotidiano lo pubblica come Articolo del giorno:

“Gira e rigira so’ sempre loro. Quelli della Magliana. Chissà quanti romani l’hanno pensato quando si è appresa l’identità del rapinatore ucciso ieri all’alba a Spinaceto: Angelo Angelotti, sessantun anni.E un curriculum malavitoso di tutto rispetto alle spalle. Soprattutto, il marchio di boss della Banda della Magliana. Per la verità, Angelotti boss non lo fu mai. Venne coinvolto nelle inchieste che, a metà degli anni Novanta, soprattutto grazie ai collaboratori di giustizia, consentirono di ricostruire, se non altro in parte, struttura e imprese della “holding criminale” che aveva a lungo spadroneggiato nella capitale. Pochi anni di dominio assoluto, un’ascesa fulminea che spazza via tutti i rivali, segnata dall’uso di metodi spietati, da una grande capacità di intessere relazioni con servizi deviati, logge massoniche spurie, neofascisti rampanti, funzionari corrotti. Un fiume di droga che cambia la fisionomia delle strade, legami consolidati con Mafia e Camorra, acquisizioni immobiliari, giri vorticosi di denaro”.

“Poi, come gli squali della “Signora di Shangai”, cominciarono a divorarsi fra loro. Perché forse, in un mondo che cambiava a grande velocità, la loro ferocia non serviva più, e le protezioni vennero meno. O, forse ancora, fu una lotta di classe in salsa criminale a decretarne l’eclissi. La lotta fra i boss che aspiravano a darsi una ripulita, facevano girare i soldi e avevano appeso la pistola al chiodo, e i proletari del crimine che non erano stati capaci di fare il salto di qualità. No, Angelotti non fu mai un boss. Ma giocò comunque un ruolo determinante nella storia della Banda quando lo accusarono di aver “portato a dama” Enrico De Pedis, per “vox populi” l’ultimo grande capo”.

“Dove “portare a dama” sta per indicare il bersaglio ai killer. De Pedis fu ucciso con un unico colpo di pistola il 2 febbraio 1990 a via del Pellegrino, vittima di un complotto ordito dai suoi ex compagni di cordata. Quandogli inquirenti si precipitarono in via del Pellegrino a interrogare i potenziali testimoni, scoprirono che buona parte di costoro erano pregiudicati. Era come se la “mala” si fosse data convegno per assistere a una specie di cronaca di una morte annunciata. Qualche giorno dopo, ai funerali di “Renatino” — ma, per la verità, gli addetti ai lavori preferivano chiamarlo “il Presidente”, che certo suonava meglio di un qualunquediminutivo da strada — i poliziotti mescolati agli addolorati compartecipi immortalarono cappotti di cammello, auto di grossa cilindrata, profluvio di Rolex al polso di grandi e piccoli boss costernati e increduli. O che, forse, tali si fingevano. Niente male per un incensurato che di lì a poco sarebbe stato seppellito in terra consacrata, in quella Basilica di Sant’Apollinare che, ancora oggi, molti ritengono custodire chissà quale segretolegato alla scomparsa di Emanuela Orlandi. Di quel delitto Angelotti si è sempre proclamato innocente: anche se la giustizia è stata di contrario avviso”.

“Scontata la pena, lo si pensava avviato a un destino di normalità. Non è andata così. Ma morire a sessant’anni con l’arma in pugno, in una calda alba di periferia, significa davvero essere parte di una qualche “tradizione” criminale? Sì, dal punto di vista soggettivo: la fine è in accordo con una scelta di vita. Sul piano, più concreto, dell’azione, la rapina ha tutte le caratteristiche di un lavoro di “batteria”: l’accordo per un colpo e via di tre professionisti di mezza età (e oltre). Qualcosa, dunque, di molto diverso da una banda ampia e articolata. Eppure, il rimando a quel passato è innegabile. Di là dai fatti di Spinaceto, negli ultimi anni ci sono stati omicidi in varia misura legati a quella “vecchia” storia, che, dunque, tanto vecchia non dev’essere. Ci sono nomi che ricorrono con frequenza inquietante. Acuita da una crisi economica che sta generando profonde disperazioni, la violenza è tornata a frequentare le strade della capitale”.

“Ed è una violenza che ricorda in modo inquietante quegli anni. Con, in più, tanta tanta cocaina a eccitare, o, per dirla col gergo in voga, a “fomentare”. Perciò senti i romani, ora allarmati, ora rassegnati, ripetere che “gira e rigira so’ sempre loro”. Qualcosa si muove, in questa città dove Strada e Palazzo non hanno mai cessato di intrattenere relazioni pericolose. Non è più la “vecchia” Banda, ma potrebbe essere qualcosa di non troppo diverso da ciò che la vecchia Banda fu”.