Lettera aperta di Mucchetti a Marchionne: “Faccia qualcosa, dica la verità”

Pubblicato il 21 Agosto 2011 - 13:32 OLTRE 6 MESI FA

TORINO – Massimo Mucchetti sul ‘Corriere della Sera’ scrive una lettera aperta all’ad di Fiat, Sergio Marchionne. Una lettera per incitarlo a prendere in mano la situazione e non lasciare la Fiat morire inerme. Una lettera in cui si ribadiscono le perplessità sulla strategia di Marchionne, perplessità che in questi anni lo stesso BlitzQuotidiano ha più volte espresso.

“Gentile dottor Marchionne – scrive Mucchetti – l’Italia è messa male, la Fiat peggio. Ci rivolgiamo a lei, perché le sorti del Paese si sono sempre intrecciate, nel bene e nel male, con quelle del suo principale gruppo manifatturiero. Oggi la Fiat conta meno di ieri, ma conta sempre tanto. Dopo il tracollo del 2002, ha fatto molto sotto la sua guida. Ma ora questo Paese si attende un cambio di passo. Necessario per il futuro dell’azienda, sarebbe d’esempio anche per l’azione di governo”.

“Lei ha criticato il governo Berlusconi – prosegue Mucchetti – Non a torto. Ma la Fiat? Negli ultimi due o tre anni non le abbiamo risparmiato le nostre riserve sulla sua strategia, pur coraggiosa e affascinante per un analista finanziario. L’abbiamo esortata a chiarire il piano Fabbrica Italia, al quale ha connesso un cambiamento dei rapporti sindacali. Negli anni scorsi, la Fiat ha strizzato i conti, e ha guadagnato un po’ grazie al buon momento dell’economia. È durata fino al 2008. Poi il declino, accentuato dalla mancanza di nuovi modelli. Lei ha spiegato la cosa come un’astuzia: avrebbe scoperto le carte a ripresa consolidata. Molti – anche alcuni ministri – le hanno creduto. A noi sembrava e sembra una tattica, come dire?, singolare. Tutte le altre case fanno diversamente. E adesso che Usa ed Europa rischiano di ricadere nella recessione, la Fiat rinvierà ancora? L’operazione Chrysler è stata il grande paravento. Ma a noi pare che gli investimenti netti di Chrysler siano bassi, e troppo alti i debiti finanziari e pensionistici.

“Dovrebbe anche sentire il bisogno – conclude – di dire la verità per intero, di confrontarsi con l’opinione pubblica, più esigente di tanti ministri e sindacalisti. Un confronto conti alla mano, e senza rete, che potrebbe essere introdotto dalla promessa di restare al Lingotto fino a quando il consiglio di amministrazione lo riterrà necessario e dall’annuncio che, pur avendo il diritto di mantenerla a Zug, il leader della Fiat sente il dovere di spostare la residenza fiscale a Torino”.