Giovanni Valentini: “Il governo non passa per la cruna della Rai”

Pubblicato il 28 Aprile 2012 - 15:29 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Blitz Quotidiano pubblica un pezzo di Govanni Valentini, dal titolo “Il governo non passa per la cruna della Rai” e pubblicato su Repubblica, come articolo del giorno. Il tema è su Rai ed elezioni. Secondo Valentini, il governo Monti non è riuscito a modificare la governance della Rai a causa del fatto che tra i suoi azionisti di maggioranza vi è il Pdl, interessato oggi più che mai a tutelare gli interessi di Mediaset.

“Nel settore dei Media, a dispetto dei toni accesi della competizione elettorale, i partiti colludono piuttosto che competere. (da “Partiti e Stato in Italia“ di Fabrizio Di Mascio – Il Mulino, 2012 – pag. 152). Eravamo stati purtroppo facili profeti a prevedere che il governo Monti, condizionato dal suo “azionista di riferimento” e cioè dal partito- azienda che tutela gli interessi di Mediaset, non sarebbe riuscito a modificare la “governance” della Rai. E infatti, a più di tre mesi dall’impegno assunto pubblicamente in tv, il presidente del Consiglio ha dovuto fare retromarcia e rassegnarsi allo “statu quo”. Il Professore aveva annunciato che in poche settimane il suo governo sarebbe intervenuto sull’assetto di viale Mazzini e invece ecco che tutto resta come prima, all’insegna di quella scellerata legge che reca le impronte digitali dell’ex ministro Gasparri. A dispetto non solo della ragione, ma soprattutto delle attese e delle sollecitazioni arrivate dalla società civile: dall’Usigrai, il sindacato interno dei giornalisti; dalla Federazione nazionale della Stampa, il sindacato di categoria; dalle associazioni degli utenti; dai movimenti dei cittadini come “Move on””.

“E anche da alcuni partiti politici, dal Pd all’Italia dei Valori. Non è solo l’ennesima rappresentazione del conflitto di interessi. È anche la resa di un governo a sovranità limitata, forte con i deboli e debole con i forti, incapace di passare per la “cruna dell’ago”: vale a dire quell’incrocio pericoloso fra politica, informazione e affari, che ha già avvelenato la storia della Seconda Repubblica portando il Paese sull’orlo del baratro. Oggi ne stiamo pagando tutti il prezzo, ognuno di tasca propria. Nonostante gli annunci e le promesse di Monti, dunque, il vertice della Rai – scaduto a fine marzo – verrà rinnovato in forza della legge imposta dal centrodestra nella passata legislatura, rinviata alle Camere dall’ex presidente Ciampi, criticata dall’Unione europea, modellata sugli interessi dell’azienda che appartiene all’ex capo del governo. E bisognerà vedere, anzi, quando sarà possibile nominare il nuovo consiglio di amministrazione di viale Mazzini, prima o addirittura dopo le prossime elezioni politiche, perché già si profila all’orizzonte una “prorogatio” – per così dire diplomatica – che sarebbe verosimilmente il colpo di grazia nell’agonia del servizio pubblico. In questa circostanza, il governo di “impegno nazionale” non è stato in grado neppure di far accettare la regola di una riduzione del Cda da 9 a 5 membri, in linea con l’austerità applicata ad altri enti pubblici e organismi istituzionali a cominciare dall’Autorità sulle Comunicazioni. A parte il risparmio di quattro emolumenti, con annessi e connessi, una ragione di simmetria avrebbe dovuto prevalere sulle resistenze della partitocrazia e sulla logica della lottizzazione”.

“Ma tant’è: quello che vale perfino per l’Authority non può valere per la Rai, concorrente diretta o “sleeping partner” di Mediaset. Ora il governo Monti ha un’unica strada per uscire dall’impasse e salvaguardare la propria autorità: indicare al più presto il suo rappresentante nel nuovo Consiglio di amministrazione della Rai, in funzione di ago della bilancia; designare il futuro presidente che dovrà ottenere la maggioranza qualificata dei due terzi nella Commissione di Vigilanza; e infine indicare il nome del direttore generale che dovrà essere votato dallo stesso Cda. La famigerata legge Gasparri, avendo trasferito il controllo dell’azienda dal Parlamento a palazzo Chigi, si rivelerà così un boomerang per i suoi artefici e potrà essere utilizzata come un grimaldello per scardinare il forziere partitocratico di viale Mazzini. A quel punto, forse potremo rivolgere un pensiero grato e riconoscente perfino all’ex ministro e ai coautori di quella pseudoriforma”.