Il problema di Roma è chi ci vive. Ma lo dicono da Torino…

di Redazione Blitz
Pubblicato il 11 Ottobre 2015 - 08:45 OLTRE 6 MESI FA
(foto Ansa)

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ROMA – “Il problema di Roma è chi ci vive” scrive Mattia Feltri della Stampa. Altro che Mafia Capitale, Ignazio Marino o chissà cos’altro. Dalle auto in doppia fila ai televisori lasciati per strada fino alle fatture negate, scrive Mattia Feltri, a Roma si giustificano le piccole ruberie quotidiane con le grandi ruberie dei politici. Feltri che poi conclude: “Potremmo fare sindaco anche Charles De Gaulle, e non ne ricaveremmo nulla”. Blitz quotidiano vi propone come articolo del giorno, domenica 11 ottobre, “Il problema di Roma è chi ci vive” di Mattia Feltri della Stampa.

(…) È un buon argomento di conversazione: Roma dove nessuno pulisce. Se qualcuno ci pedinasse ci vedrebbe gettare al suolo mozziconi di sigarette, scontrini, fazzoletti del bar, confezioni di cibo, volantini, carte di caramella, una profusione a piene mani di cui facciamo lezione ai nostri figli fin dalla più tenera età, «butta per terra» è l’esortazione di ogni genitore. Dietro un angolo c’è il resto del pic-nic, i cartoni della pizza, le lattine di Coca, i sacchetti di patatine, i turisti ne traggono lezione e si comportano di conseguenza, come noi sono dediti all’indifferenziata, se usano i bidoni è per infilare il gelato in quello della carta e l’ombrello rotto in quello del vetro. Lì attorno noialtri facciamo allestimenti di arte moderna: a Roma ci liberiamo di ogni vecchio ingombro depositandolo ai piedi dei cassonetti, si sono visti stendini, televisori, scaffali, scheletri d’infisso, stampanti, lampadari, abat-jour, sedie, specchi, guardaroba. Qualcuno li porterà via, la nettezza urbana, i senza tetto. Se restano lì sarà senz’altro colpa della casta e dei politici che rubano. Scuote il capo per indignazione ogni buon artigiano ci venga in casa, ogni parrucchiere, ogni barista, ogni componente di quell’immenso popolo indisposto alla ricevuta fiscale perché sicuro di occupare una posizione di legittima difesa. Ogni nostra piccola ruberia dovrebbe essere giustificata dalle grandi ruberie altrui. E allora Roma è la carcassa su cui si accanisce ogni animale, quello più forte e più grosso mangia per primo e mangia parecchio, l’animale più debole mangia dopo e quel che resta, ma mangia, e in una poco entusiasmante condizione parassitaria. L’apologo perfetto è quello dell’Atac, l’azienda di trasporti in perenne passivo per gli sprechi e le stecche dei capi, con poco più di novemila dipendenti di cui ogni giorno ne restano a casa in media, per permesso o indisposizioni, che si acuiscono a fine o inizio settimana, mille e quattrocento, oltre il quindici per cento. Lo scorso capodanno, fra il 30 e il 31 dicembre, cadde malato il trenta per cento degli autisti di autobus in servizio. Anche in quei due giorni, come in ogni altro giorno dell’anno, i viaggiatori senza biglietto erano in una percentuale stimata nel quaranta per cento. Siamo tutti aggrappati a questa vecchia e generosa lupa per ricavarne una poppata, oggi e poi domani e dopodomani. I sessantacinquemila dipendenti del comune, e domani per statistica ne mancheranno novemila, saranno alla sportello o in ufficio svogliati, disillusi, stanchi, frustrati e scontrosi e tutti ci arrangeremo con o senza di loro. Roma è una città in cui il sindaco Ignazio Marino ha trovato 960 milioni di euro in multe stradali mai riscosse; significa che ognuno di noi, compresi i neonati, poiché Roma ha tre milioni di abitanti, aveva un debito in sole contravvenzioni di 320 euro; Marino si è arreso: quasi ottocento milioni sono stati dichiarati «di dubbia esigibilità». E poi ci sono le tasse sulla casa nella vecchia e nella nuova formulazione, le tasse sui rifiuti, le rette delle mense scolastiche, per il debito spaventoso e imbarazzante di due miliardi e quattrocento milioni di euro che noi abitanti di Roma dobbiamo al nostro comune, quasi mille euro a testa. Si è stabilito che di quella cifra se ne potrà forse recuperare un terzo, ottocento milioni.