“La seconda ondata dello tsunami”: Vittorio Zucconi su Repubblica

Pubblicato il 3 Maggio 2012 - 09:16 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Un invasore fatto di pezzi di case, abiti, detriti, bidoni: è quello che dal Giappone del terremoto-tsunami dell’11 marzo 2011 arriva sulla coste americane un anno dopo. A descriverlo sulle pagine di Repubblica è Vittorio Zucconi, in quello che è l’articolo del giorno di oggi di Blitz Quotidiano.

Questi detriti “seguono le rotte di quella invasione giapponese che settant’anni or sono fece tremare l’America e scatenò la psicosi dell’assalto. Non è certamente il progetto strategico dell’Imperial Alto Comando e dell’ammiragilo Yamamoto, quella flotta che i satelliti, gli oceanografi e le navi della Guardia costiera stanno seguendo ormai da mesi e che comincia a sbarcare le avanguardie sulle coste dell’Oregon, dello stato di Washington e della British Columbia canadese. Ma seguire la rotta degli almeno 5 milioni di tonnellate di rottami che stanno espandendosi e allungandosi verso il nord e l’est vuol dire ripercorrere fedelmente il viaggio delle portaerei e delle corazzate giapponesi nella loro corsa verso Pearl Harbour e poi dei palloncini aerostatici che Tokyo inviava per scaricare bombe sulla California seguendo i venti d’alta quota, che soffiano, in questo emisfero, prevalentemente da ovest a est, dall’Asia verso il continente nordamericano. Già una nave fantasma, perfettamente galleggiante ma senza uomini, la Ryon-Un Maru è stata individuata da un peschereccio russo e poi affondata dalla Guardia costiera canadese. Era ad appena 300 chilometri dalla British Columbia, dopo aver percorso intatta cinquemila chilometri di mare e attraversato indenne bufere”.

Questo flusso di detriti, scrive Zucconi, “Continuerà per almeno altri tre anni, fino al 2015. (…) Una parte finirà intrappolata in quella che i navigatori chiamano ‘la grande discarica del Pacifico’, l’enorme area di Oceano dove milioni di tonnellate di rifiuti girano lentamente dagli anni ’50 in un languido vortice esteso per centinaia di migliaia di chilometri quadrati, forse più dell’intero Mediterraneo. Il resto continuerà la propria inesorabile navigazione, passando con crudele ironia accanto agli atolli e alle isole dove le flotte americane e giapponesi si affrontarono nel 1942 e nel fondo giacciono tonnellate di acciaio affondato”.  (…)