Grillo pensa a D’Alema sul blog, ma censura il dissenso nel M5S

Pubblicato il 18 Marzo 2013 - 10:10| Aggiornato il 13 Ottobre 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA –  Beppe Grillo pensa a D’Alema, ma censura il dissenso nel MoVimento 5 Stelle. Aprendo il blog di Beppe Grillo stamattina (18 marzo) sembra non esserci traccia dello scontro del week-end seguito alla elezione del presidente del Senato, della prima vera divisione politica all’interno di un gruppo che finora si è percepito e ha dato l’idea all’esterno di essere coeso, compatto, fedele al suo leader carismatico. Fino a quando la realtà, le scelte non rinviabili, insomma la politica non ha fatto irruzione nel MoVimento, scompaginando i piani, provocando tensioni, difficilmente gestibili senza ricorrere a forme più o meno velate di autoritarismo.

Esplicite, come la minaccia di espulsione di Grillo a chi non avesse rispettato la consegna di votare seguendo le indicazioni della maggioranza. Più subdole, come la cancellazione dei post apertamente critici verso Grillo, anche quelli con più consensi, dalla bacheca del sito. Sul sito stesso, l’immagine principale a corredo iconografico del post (“D’Alema presidente della Repubblica?”) che detta la linea, è una vecchia immagine di Massimo D’Alema sorridente con vicino un Berlusconi visibilmente compiaciuto anche se non messo a fuoco: chiaro il messaggio, l’anatema contro vecchi e nuovi inciuci,

La mossa di Pierluigi Bersani, sempre nel contesto della “mission impossible” per formare un nuovo governo, ha effettivamente colpito nel segno, perché ha consentito un passaggio istituzionale importante (i due presidenti delle assemblee rappresentative) e ha stanato i grillini, aprendo una breccia nel muro eretto da Grillo. Doppia breccia. Perché se da una parte, era credibile e perfino inevitabile che i senatori di Grillo siciliani fossero davvero “costretti” a votare al Senato il cambiamento e il procuratore Grasso contro il “vecchio” e non digeribile (per i grillini) Schifani, dall’altra (notava Stefano Folli domenica sul Sole 24 Ore) pur di ottemperare alle consegne del leader, si sono fatti sfuggire l’occasione di votare qualcuno che apprezzavano e che corrispondeva a un profilo lontano dai partiti come auspicavano (e lo hanno scritto e commentato), ovvero il nuovo presidente della Camera Laura Boldrini.

L’Huffington Post, a proposito della linea del capo, ha tirato fuori un vecchio post di Grillo, di tre anni fa, in cui il leader del M5S scriveva: “Ogni eletto risponderà alla propria coscienza, non a organi direttivi”. Cioè, spiegava Grillo, agli eletti sarà consentito esprimersi liberamente in Parlamento senza chiedere a nessun capo bastone”. Lo stesso Bersani,  mentre annuncia una riforma del finanziamento pubblico ai partiti, non lesina un giudizio sprezzante su Grillo e il M5S accusato di metodi “leninisti”, nel senso che stanno acquattati per poi “approfittare di tutti gli spazi che la borghesia cogliona e capitalista mi offre.  Non mi sembra una grandissima novità”.

Ora l’attenzione massima, come dimostra il post su D’Alema, è concentrata sul Quirinale. “Chi tradisce anche un solo punto di un accordo scritto, potenzialmente può tradirli tutti”, avvisa Claudio Messora (Il Fatto lo descrive come “ideologo” del movimento). Francesco Molinari, come già Francesco Campanella, della pattuglia dei reprobi, non si fa intimidire e si rivolge direttamente a Grillo: “Meno reazioni isteriche e più fiducia”, invitando fra l’altro i suoi a distinguere da Cariche Istituzionali e Ruoli Politici.

Ce l’aveva, Bersani, soprattutto con il doppio standard sulla trasparenza delle decisioni: tv o diretta streaming per scegliere il Capo dello Stato, stanze chiuse e bocche cucite quando la decisione mina l’unità. E la rete se ne è accorta: “Beppe, ora che fai li cacci”, protesta qualcuno alludendo alla famosa cacciata di Fini da parte di Berlusconi, sempre per stroncare il dissenso interno. “Trasparenza una fava”, commenta un  altro chiedendo perché lo streaming sulla riunione sia saltato.

Dopo l’anatema di Grillo verso coloro che non rispettano le decisioni a maggioranza, si è scatenato, ovviamente, il dibattito, a colpi di post. Che fine ha fatto quello di in certo Ferdinand Bardamu, in cui lanciava l’allarme sulla “svolta autoritaria del M5S”?. La stesa sorte di altri post scomodi, almeno seguendo il ragionamento di Marco Strada sul Corriere della Sera: “Alle ore 14:00 (di domenica 17 marzo, ndr.) sono accessibili 21 pagine di commenti, e ciascuna ne contiene 250. Per un totale di 5250 commenti leggibili. Al saldo, ne mancano almeno 2.250”.

Qualcuno, maliziosamente, nota che i 13 voti a Grasso corrispondono al numero di voti che servirebbero a Bersani per assicurarsi una risicata ma sufficiente maggioranza. Giuseppe Vacciano non ci sta: ha votato secondo coscienza Grasso, non ha ricevuto offerte da nessuno né qualcuno ha comprato il suo voto, è pronto a offrire le sue dimissioni, senza paracaduti o gruppi misti. Dura la vita del senatore, chi l’avrebbe detto?