Quando nel 1994 Berlusconi venne salvato con i voti della sinistra

Pubblicato il 5 Aprile 2013 - 09:10| Aggiornato il 14 Dicembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA- Nel 1994 Berlusconi venne “salvato” anche con i voti del centrosinistra nonostante fosse proprietario di 3 reti televisive e quindi la sua elezioni potesse essere considerata a rischio. Venne respinta la sua ineleggibilità dalla Giunta per le elezioni, tema tornato d’attualità ora che è stato eletto al Senato, nonostante ci fosse una legge precisa, il Dpr 30 marzo 1957 n° 361, che poteva dichiararlo ineleggibile. E’ quello che racconta Luigi Saraceni, che nel ’94 era capogruppo dei Progressisti (Pds e alleati) nella Giunta per le elezioni. Per lui fu una decisione politica presa contro il dettato della legge. Ecco cosa racconta ad Andrea Fabozzi, sul Manifesto, in un’intervista ripresa dal sito Micromega:

Invece il presidente della giunta, Antonio Mazzone di An, e con lui la maggioranza dei componenti compresi alcuni di centrosinistra, decisero che il «concessionario» era solo Confalonieri.

Tutti sapevano che l’effettivo beneficiario della concessione era Berlusconi. Ritenere ineleggibile l’amministratore delegato della Fininvest e non il suo azionista di riferimento era contrario al più elementare buonsenso. Tanto più che qualche anno prima era stata approvata la legge Mammì che imponeva (art. 17) che la maggioranza delle azioni di società concessionarie del servizio radiotelevisivo dovessero essere intestate a persone fisiche o a società in cui fossero individuabili le persone fisiche che controllavano la maggioranza delle azioni. Si trattava di una vera e propria identificazione, per bocca della legge, del «concessionario» di reti televisive con l’azionista di controllo della società beneficiaria della concessione. Ma questa «interpretazione autentica» della legge del 1957, fu indebitamente ignorata dalla maggioranza della Giunta, in cui prevalse una interpretazione cavillosa e formalistica, secondo la quale Berlusconi non poteva essere dichiarato ineleggibile perché non era intestatario «in proprio» della concessione governativa.

Lei condivise queste opinioni con qualche collega? Ricorda il dibattito in Giunta?

Ci sono due anomalie in questa vicenda. La prima anomalia è che a presiedere la Giunta per le elezioni era stato designato un esponente della maggioranza di centrodestra che aveva vinto le elezioni, in contrasto con la prassi consolidata di affidare la presidenza all’opposizione. La seconda anomalia, che incredibilmente fa sentire i suoi effetti ancora oggi, è la segretazione del verbale di quella seduta del 20 luglio ’94, di cui è pubblico e conoscibile solo uno stringato resoconto, dove si dice che l’unico a votare per l’ineleggibilità sarei stato io, che ero il capogruppo dei Progressisti. Ma non sono certo, in base ai miei ricordi, che anche altri del gruppo non votarono contro l’eleggibilità (un resoconto Ansa, ripreso dai quotidiani il giorno dopo, dava conto di 4 voti contrari su 19 presenti e 11 assenti, ndr). Quello che è certo è che come responsabile del centrosinistra nella Giunta fui scavalcato da una direttiva dall’alto del gruppo parlamentare e che qualcuno dei nostri si attenne a questa direttiva.

Uno scambio con Berlusconi? In cambio di che?

È sbagliato leggere tutto in chiave di «inciucio». Secondo me – e la cosa mi pare addirittura più grave – era l’effetto di un malinteso primato della politica, di una concezione, dura a morire anche a sinistra, secondo cui il consenso popolare deve prevalere anche sulla legalità. È un indirizzo che in questi anni si è manifestato in tante altre occasioni, in cui non si è voluto capire che politica e legalità si potevano ben coniugare e confluire nelle giuste scelte. Comunque, quel giorno del ’94 anche se il nostro gruppo avesse votato compatto per l’ineleggibilità sarebbe prevalsa la tesi contraria, perché eravamo minoranza.

Per farlo però i nuovi senatori – perché Berlusconi si è trasferito a palazzo Madama – dovrebbero poter conoscere nel dettaglio come andarono le cose vent’anni fa.

È così, stiamo parlando di due decisioni, quella del ’94 e quella del ’96, consumate negli interna corporis che opacizzano le decisioni della Camera. La questione della eleggibilità di Berlusconi non è mai approdata nelle aule parlamentari, è stata decisa nelle fasi preliminari e segrete del procedimento davanti alla Giunta. È questa un’anomalia su cui si dovrebbe intervenire, modificando il vetusto Regolamento, secondo il quale se la maggioranza della Giunta vota per l’eleggibilità, la cosa finisce lì, mentre si va in aula solo se la Giunta vota la ineleggibilità. Sarebbe ora che su una questione di tale rilevanza potesse finalmente discutere pubblicamente un’aula del parlamento. E spero che nel contesto del «cambiamento» la nuova presidente della Camera Laura Boldrini faccia saltare questi arcaici segreti, per consentire a tutti di sapere come andarono effettivamente le cose e trarne appropriate conseguenze politiche.