Coronavirus, rischio Colao per Conte: con religione, vescovi e parrucchieri non si scherza

di Marco Benedetto
Pubblicato il 28 Aprile 2020 - 06:30 OLTRE 6 MESI FA
Coronavirus, rischio Colao per Conte: con religione, vescovi e parrucchieri non si scherza

Coronavirus, rischio Colao per Conte: con religione, vescovi e parrucchieri non si scherza (Nel combo Vittorio Colao a sx e Giuseppe Conte a dx)

Coronavirus, con Colao, Conte rischia grosso. E Conte questo lo sa bene.

Un comitato di 17 + 2 per prima cosa non lo doveva formare. Per via dei numeri e della scaramanzia.

Leggetevi poi l’elenco dei componenti. Tranne Giovanni Gorno Tempini e Enrico Giovannini risulta difficile vedere in quella lista di eccelsi qualcuno che sia in grado di dare un contributo alla ripresa dell’Italia post Covid-19.

Infatti l’esordio dell’accoppiata Conte-Colao è stato deludente.

Con sfumature di ridicolo. Riaprono i parrucchieri il primo giugno? Impossibile: il primo giugno è lunedì e di lunedì i parrucchieri sono chiusi. Lo sanno anche i neonati. O chi non vive in Italia, come Colao fino a poco tempo fa.

Bene è andata che non è passata l’idea di bloccare in casa in una sorta di coprifuoco le persone con più di 60 o 70 anni.

Ma è l’impressione complessiva a deludere. Come ha detto Massimo Cacciari, sarebbe l’ora di smettere di dire parole in libertà.

Ci si aspettava un colpo d’ala, un progetto, un’idea. Non quando riprenderanno gli allenamenti del calcio.

Giuseppe Conte conosce bene il principale guaio dell’Italia: la burocrazia.

L’intorcinamento di leggi, commi, rinvii, procedure, pareri eccetera che paralizzano l’Italia. 

Tutto il resto sono chiacchiere. 

Quante volte abbiamo sentito parlare di Sblocca-Italia? Quante leggi sono ancora bloccate, a 10 anni dall’annuncio?

Leggi anche approvate, due, tre votazioni. Poi definite meglio nei regolamenti. Poi i decreti…

Conte doveva prendere i quattro direttori generali di ministero più direttamente interessati al gioco al massacro delle procedure e fare come fa la Chiesa.

Chiuderli in una stanza di Palazzo Chigi come in Conclave, senza lasciarli uscire fino a quando non avessero risposto alla domanda chiave.

La domanda doveva essere: come si fa a far sì che un ordine del primo ministro o una legge del Parlamento diventino esecutive in giorni se non ore?

Invece Conte ha messo assieme un gruppo di persone una meglio dell’altra, ciascuna nel proprio campo specifico. 

Nessuna però mi appare in grado di sciogliere la domanda di Turandot.

E Colao non è Calaf, non canta il mio mistero è chiuso in me.

Uno che si è occupato tutta la vita di telefonini, tranne un breve e non felicissimo interludio nei giornali, anche se in possesso del metodo universale McKinsey che tutto capisce e tutto risolve, tra tabelle, grafici e scale logaritmiche, quanto può capire e risolvere i misteri della pubblica amministrazione.

La pubblica amministrazione, la burocrazia, il potere carsico dell’alta dirigenza politica, militare, giudiziaria non è una invenzione della Repubblica, prima seconda terza.

Erano già lì ai tempi di Vittorio Amedeo di Savoia e del marchese d’Ormea.

Erano lì quando si trattava di mandare Garibaldi a morire sulle Alpi (senza riuscirci).

E anche quando mandarono i nostri soldati a morire nelle nevi ucraine con le scarpe di cartone.

Dei comitati di Conte e Colao se ne fanno un baffo.

Nessuno ci ha spiegato perché sia stato scelto Colao. Colao non ha spiegato i criteri di scelta dei suoi colleghi.

Mi ha colpito la presenza di tale Raffaella Sadun, Professor of Business Administration, Harvard Business School, secondo il sito del Governo. Vive nel Massachusets, possibile che non ci sia qualcuno di più addentro nei misteri italiani?

Mi do una risposta. Sadun è fra i tre autori di un articolo pubblicato un mese fa sulla Harvard Business Review. Repubblica lo aveva presentato così:

“Harvard boccia le misure italiane sul coronavirus: rischi sottovalutati e tanti errori”.

Risposta implicita: ci vuole Mario Draghi.

Di Mario e Supermario gli italiani dovrebbero averne abbastanza. Ricordino il SuperMario Monti. 

Da Monti Conte sembra avere appreso una lezione. Ai tempi del suo Governo, Monti era costantemente sotto attacco del duo Alesina-Giavazzi. Fino a quando ebbe una idea geniale. 

Incaricò Francesco Giavazzi di studiare una grande spending review, alla ricerca del tagli di spesa. La spending review fece tacere Giavazzi.

Ingoiò anche il bravissimo Enrico Bondi, risanatore di aziende, infelice salvatore della Parmalat, regalata da Berlusconi ai francesi per averne l’appoggio a postarlo alla Bce.

Secondo me, è bastato l’articolo sulla rivista di Harvard per motivare Conte. Penso male?

Il risultato mi pare simile a quello di Monti. Come la tanto conclamata spending review finì in fumo, il Comitato Colao ha portato guai.

Le conclusioni del Comitato che sono alla base della Fase 2 di Conte, sono banalità che un qualunque giornalista di provincia avrebbe concepito.

Un buon giornalista non avrebbe proposto l’errore di tenere chiuse le chiese (e, presumo, sinagoghe, chiese protestanti varie e moschee).

Mettete il naso in una chiesa un giorno feriale. Scoprirete che sono vuote. La domenica (o il sabato o il venerdì) si trattava di applicare i metodi in vigore per i supermercati.

Le organizzazioni religiose erano e sono perfettamente in grado di gestire il servizio d’ordine, senza aggravare il lavoro delle Forze dell’Ordine.

E ora pare che Conte farà una umiliante retromarcia. Poteva evitarsela. Bastava chiedere consiglio a un commesso di Palazzo Chigi.

Altra scemenza: quella di non potersi spostare da una regione all’altra.

E di non potersi recare, chi ce l’ha, in una seconda casa.

Quanti italiani possiedono una seconda casa in altra regione, diversa da quella di residenza? 

Se la sua seconda casa è in Liguria, ad esempio, o in Val d’Aosta, si attacca. Sì è rotto un tubo? C’è una perdita? O una infiltrazione nel tetto? Niente da fare.

Ma per il ministro dei trasporti Paola De Micheli nemmeno nella stessa regione un poveraccio può andare a vedere, dopo mesi di assenza, se tutto è in ordine.

Siamo un po’ nel regno dell’assurdo. Chissà quale recondito calcolo politico muove la De Micheli. 

Scusi, ma se salgo in macchina a Torino, tanto per dire, arrivo a Varigotti (Savona) che dovrebbe essere più o meno deserta. Entro in casa e mi ci chiudo dentro.

Non incontro nessuno, non saluto nessuno. Se vedo qualcuno gli parlo da 2 metri con mascherina. Come posso passare per untore? O infettarmi?

Siamo stati in tanti a sentire Conte parlare in tv domenica sera.

Premetto che finora ho guardato Conte con ammirazione.

Assurto a presidente del Consiglio per ragioni che un cittadino normale non riesce a spiegarsi (ma fu così anche con Monti, quindi orma ci siamo abituati), sballottato per un anno fra Scilla-Salvini e Cariddi-Di Maio, si è ritrovato in autunno a capo di una coalizione impensabile un mese prima.

Non era, penso, una esistenza semplice. Quelli del Pd non sono folcloristici come Salvini, ma vengono da lontano e vanno lontano.

Esplosa la crisi del Coronavirus, Conte è stato bravissimo. Navigava in un mare in tempesta, fra gli scogli delle autonomie locali e il vento della politica e dell’economia che cambiava forza e direzione ogni ora.

Chiedeva aiuto ai tedeschi e il suo ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, metteva in piazza, su giornali siti e tv, il rischio di infiltrazioni mafiose negli appalti.

Come indignarsi se la Welt, giornale di Germania, dice le stesse cose? Come sostenere che scrive fesserie?

La signora prefetto Lamorgese bastava che lo scrivesse ai suoi colleghi sottoposti prefetti o al capo del suo Governo, o ai ministri interessati. C’era bisogno di un comunicato stampa, di mettere, come si dice, il guano nel ventilatore?

Conte ha glissato su tutto. Ha cavalcato il Covid come Tarzan cavalcava l’ippopotamo inferocito.

Penso sia stato decisivo nel far crollare di 5 punti il consenso della Lega.

Anche se non si può negare che gli errori di Giulio Gallera (peraltro non leghista ma di Forza Italia) e il volto attonito di Attilio Fontana una mano gliela hanno data.

E poi è stato bravo, dite quello che volete. Ha fatto suo il motto di Antonio Ferrer, Gran cancelliere spagnolo di Milano ai tempi della peste, che in tanti abbiamo conosciuto a scuola: “Pedro, adelante con juicio”.

Avanti con prudenza, riporta Alessandro Manzoni nei promessi sposi. E lui si è mosso con accortezza, ottenendo eccellenti risultati, pur fra errori, incertezze e in mezzo alla tempesta.

La strategia ha pagato. Cala il numero dei morti e dei malati. Sale il consenso attorno a Giuseppe Conte.

Conte è riuscito a isolare i veri virus che stanno a cuore a lui: Salvini e Draghi.

Ma la partita non è ancora finita, basta un piccolo errore e sei fatto.

Se gli va bene, Conte diventa intoccabile come Garibaldi…

Ma domenica 26 si è avvertito un crack. In quello che veniva detto sul teleschermo.

E in quello che si intravvedeva dietro le quinte.

Che sia in atto una certa tensione fra Conte e Colao era stato anticipato da un articolo sul Fatto di Luca De Carolis.

L’eloquio di Conte ha confermato i sospetti. Troppe volte, almeno 5 o 6, Conte ha fatto riferimento al Comitato e a Colao.

Chi ha un po’ di esperienza di vita associativa o aziendale, sa che più uno lo nomini, più intensamente lo detesti.

Ma allora perché lo ha nominato?

Misteri d’Italia.