Referendum, c’è chi dice No, i peones tremano per il posto che perderanno, Di Maio, Zingaretti e Conte per il loro futuro

di Emiliano Chirchietti
Pubblicato il 30 Agosto 2020 - 08:18 OLTRE 6 MESI FA
Referendum, c'è chi dice No, i peones tremano per il posto che perderanno, Di Maio (nella foto), Zingaretti e Conte per il loro futuro

Referendum, c’è chi dice No, i peones tremano per il posto che perderanno, Di Maio (nella foto), Zingaretti e Conte per il loro futuro

Altro che referendum costituzionale, l’appuntamento del 20 e 21 settembre è una contesa dal valore fortemente politico. 

La modifica che saremo chiamati a valutare con un SI o con un NO, propone, al netto del non problema della rappresentanza e del non problema della riduzione dei parlamentari, cambiamenti minori rispetto a quelli che invece servirebbero. 

I nodi stanno anche e soprattutto altrove: perché, ad esempio, non si apre un dibattito sul ruolo delle Regioni, alla luce anche dell’esperienza Covid, che, tra le altre cose, ci ha dimostrato quanto questa discussione sia ormai inevitabile?

Il referendum del 20 e 21 è importante per gli effetti politici che potrebbe generare.  La posta in palio è molto alta.

Il M5S potrebbe uscire da questo referendum fortemente rinvigorito ma anche con le ossa rotte. 

L’eventuale affermazione del SI, gli darebbe certamente molto ossigeno. Rafforzerebbe la leadership di Di Maio. Restituirebbe al Movimento un accresciuto potere contrattuale nei confronti degli alleati di Governo – soprattutto nel caso di un rimpasto – e la possibilità di sbandierare l’indubbia vittoria. 

Luci della ribalta

Al contrario, se prevalesse il NO, i già precari equilibri interni tra le componenti si farebbero veramente difficili da mantenere.

Il Movimento sarebbe inevitabilmente azzannato da tutti e celebrato come il grande sconfitto. Prospettiva quest’ultima auspicata da molti.

Crisi profonda

Anche per il PD la partita è delicata. Da un anno al Governo con il M5S, Nicola Zingaretti non è ancora riuscito a far digerire la strana coppia a molti dei suoi.

Fuori e dentro il partito, parecchi sostengono che i Democratici ricoprono un ruolo troppo subalterno ai grillini. 

“Se siamo un partito serio non possiamo votare SI” tuona Matteo Orfini sul Corriere della Sera del 25 Agosto.

Massimiliano Panerai, sull’Espresso del 15 Agosto, accusa l’alleanza “Grillodem” di essere “l’antitesi del riformismo”. 

Annalisa Cuzzocrea, sempre il 15 Agosto, dalle pagine di Repubblica, scrive invece, in un articolo sull’alleanza giallorossa, che “il nuovo centrosinistra rischia di apparire agli elettori come un triste matrimonio d’interesse”. 

Anche Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, lunedì 17 Agosto, non si risparmia, con un editoriale dal titolo “Ma il PD ha le idee chiare?”. 

Una alleanza che non piace

La sconfitta del SI aiuterebbe il fronte anti Ulivo 2020, che freme dalla voglia di realizzare la propria vocazione maggioritaria. Cosa che, dato i limiti dell’esistente, è sinonimo di sconfitta certa.

Intanto Repubblica si schiera con il fronte del NO. 

Zingaretti si trova nel mezzo, tra l’establishment che vorrebbe lo strappo e chi invece tenta di costruire una faticosa alleanza, anche nei territori, con il M5S.

Non è un caso che nel sito internet dei Democratici non ci sia traccia di referendum.

La prudenza è d’obbligo

Zingaretti lo sa e si muove con passo lento e ponderato. Dal Corriere della Sera del 26 agosto, il Segretario, detta le sue condizioni per il SI. Ovvero una nuova legge elettorale e modifica dei regolamenti parlamentari. 

Gli risponde Di Maio il giorno dopo: “Siamo pronti a votare una nuova legge elettorale già prima della fine dell’estate”.

Palla rimandata nell’altra parte del campo.

Se il PD dice NO, addio all’Ulivo 2020, ma se dice SI, indebolisce la leadership di Zingaretti, e quando da quelle parti un Segretario è debole non può stare di certo sereno.

Allora, prevale la politica del tocco e non tocco, una campagna referendaria di basso profilo, politicamente comprensibile, ma anch’essa assai rischiosa. 

Comunque vada, qualsiasi mossa, produrrà nel PD delle divergenze e questa non è una notizia.

 A Zingaretti il compito di scegliere con quali di queste divergenze confrontarsi.

Poi c’è Renzi

La posizione di Italia Viva non è ancora chiara ma si avverte che l’entusiasmo per il SI è praticamente assente. 

Il Rosatellum, la Riforma costituzionale Boschi, là si che c’era slancio e passione. 

A destra invece l’occasione è ghiotta

Qualunque sia il risultato del referendum, si potrebbero aprire altre crepe nella maggioranza di Governo.

Salvini, Meloni e Berlusconi lo sanno, vanno avanti uniti e puntano tutto sulle elezioni regionali. Sanno, che il combinato disposto dei risultati delle due competizioni, se a loro favorevole, potrebbe veramente fare male alla maggioranza ed al Governo. 

Anche da questa parte politica però, se si va nei siti internet dei tre partiti, Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, si fatica a trovare qualcosa sul referendum.

Grande lavoro e sforzo per le elezioni regionali ma poca roba per il referendum.

Andare a casa non piace a nessuno. 

E Conte?

La propaganda politica lo costringe a giocarsi la partita con i banchi di scuola, roba che se andrà sui libri di storia ci sarà da vergognarsi.

La casa editrice Laterza ha pubblicato recentemente un saggio molto interessante dal titolo estremamente chiaro: “La spirale del sottosviluppo”.

Il sottotitolo è una sentenza: “Perché (così) l’Italia non ha futuro”.

A scriverlo è il sociologo Stefano Allievi, un’analisi schietta che lascia parlare i numeri.

Eccone alcuni.

“I giovani tra i 20 e i 34 anni sono 9 milioni e 630 mila al 1° gennaio 2018: oggi rappresentano solo il 16% della popolazione – in un decennio sono calati di 1 milione e 230 mila unità e di tre punti percentuale” (pagina 5).

“L’età mediana in Italia, è superiore ai 44 anni; a titolo di comparazione, in Europa è di 41,6 anni, nel mondo è di 29,6 e in Africa – il continente che si affaccia sul Mediterraneo, è bene ricordarlo – è di 19,4” (pagina 13).

“Oggi il 56,7% dei giovani fra i 20 e 34 anni è tuttora celibe o nubile e vive con almeno un genitore […] nella fascia 18 – 34 anni, vive con la propria famiglia il 66,4% degli italiani, contro una media europea del 48,1% – solo la Grecia fa peggio di noi-” (pagina 6).

“Le culle si svuotano: i 577 mila nati del 2008 sono diventati 439 mila nel 2018, il minimo storico dall’Unità d’Italia” (pagina 11).

“Tra il 2018 e il 2028, in soli 10 anni, bambini e ragazzi nella fascia d’età 3 – 18 anni diminuiranno da 9 a 8 milioni  […] serviranno 55 mila insegnanti in meno” (pagina 16).

Il libro straborda di queste drammatiche statistiche.

Siamo dentro “la spirale del sottosviluppo”, ai giovani bisognerebbe avere il coraggio di dire la verità, che il futuro, purtroppo, è denso d’inquietudine.

Forse tornerà ad essere sereno per quelli che non sono ancora nati.

Almeno con loro, ce la possiamo giocare.