La diseguaglianza fa bene. Aiutare i deboli a crescere, no alle tasse killer

La diseguaglianza fa bene. Aiutare i deboli a crescere, no alle tasse killer
Alberto Alesina. La diseguaglianza è inevitabile

ROMA – La diseguaglianza fa bene, altro che balle, è il sale della vita per Alberto Alesina  che si chiede: uguali o disuguali? La diseguagianza nelle società ricche è un peccato così mortale? Quanto c’è di quel sentimento eterno e universale che è l’invidia nei movimenti politici detti populisti che imperversano in Europa a cominciare dal M5s di Beppe Grillo, cui anche il Pd di Matteo Renzi cerca di accodarsi?
Alberto Alesina affronta il tema sul Corriere della Seera del 19 Giugno, 2015 con un articolo che non liscia certo il pelo ai demagoghi dell’ultima ora: “Il merito nelle società diseguali”.

Dato che tutti i salmi finiscono in gloria e i Governi (non solo di sinistra) pensano alle tasse, Alberto Alesina avverte che l’alternativa alla diseguaglianza

“non è tassare a livelli elevatissimi tutte le classi medio-alte, che già pagano più dei meno abbienti data la progressività delle aliquote (e se non lo fanno, si agisca chiudendo le scappatoie fiscali). Redistribuire a pioggia rischia di essere una soluzione peggiore del male. Servono incentivi, uguali opportunità e premio al merito e all’impegno, non l’espropriazione della ricchezza indipendentemente dalla sua origine. E per la minoranza che non riesce, nonostante l’impegno, a partecipare alla competizione, si usi lo stato sociale, nato per questo, per proteggerla”.

Alberto Alesina prende lo spunto da alcuni interventi al Festival dell’Economia di Trento, in cui

“gli economisti-guru della sinistra — Paul Krugman, Thomas Piketty, Joseph Stiglitz — tuonavano contro la fine del «sogno americano»: della possibilità cioè, per chi si impegna, di risalire la scala sociale. Più in generale, prevedevano una degenerazione del capitalismo verso lidi di diseguaglianza mai visti nella storia recente”.

La storia sembra ripetersi. Karl Marx, la cui lettura della storia è ineguagliabile e è l’unica possibile, fallì miseramente nelle sue previsioni sulla fine del capitalismo. Fu il comunismo a fallire, non perché l’idea non fosse giuta ma perché al comunismo sovietico mancava il mercato. Ora Alberto Alesina, che a sua volta non pare averle azzeccate tutte ma col quale in questo caso non si può che convenire, precisa che

“la perfezione negli affari umani non esiste”.

Ciò posto, o meglio concluso, ecco tre punti fondamentali e inconfutabili:

“1. La diseguaglianza, oggi, è tornata ai livelli dei primi decenni del secolo scorso. La differenza è che ora, sia in Europa sia negli Stati Uniti, seppur in misura diversa, esiste uno Stato sociale che protegge i meno abbienti ben più di quanto lo si facesse nella prima metà del ’900. Ci sono una sanità e una scuola pressoché gratuite, sussidi alla disoccupazione in molti Paesi assai generosi, pensioni spesso molto superiori ai contributi versati e via dicendo. I guru di cui sopra ci dicono che perfino negli Usa chi nasce povero resta povero: ma i dati raccolti dal mio collega Raj Chetty dimostrano che la mobilità sociale è alta in alcune città, come Seattle, ed è bassa in altre. Insomma: il «sogno americano» esiste in parte degli Stati Uniti, non dovunque. Gli europei sono ancora più pessimisti sulla mobilità sociale nei loro Paesi, anche se spesso è più alta che nella media Usa.
2. La diseguaglianza crea incentivi. Vorremmo forse, in nome della totale uguaglianza, eliminare i premi monetari a uno scienziato che fa un’importante scoperta?
O quelli a un imprenditore che innova (ricordate Steve Jobs e Bill Gates che ci hanno cambiato la vita), o a un lavoratore che si impegna più dei suoi colleghi? Quando lo facciamo riduciamo la crescita, preferendo — pur di eliminare le disparità — impoverire la media delle persone. Alcune società farmaceutiche hanno fatto profitti enormi. Preferiremmo forse averle tassate così tanto da aver ridotto ricerca e sviluppo, tornando a qualità e lunghezza della vita garantite dai medicinali degli Anni 50?
3. L’ineguaglianza è accettabile se vi è mobilità sociale, ovvero se la scala sociale è percorribile verso l’alto (e il basso) in funzione delle proprie abilità e del proprio impegno. Dobbiamo offrire a tutti i bambini uguali opportunità di successo; dobbiamo combattere con vigore corruzione ed evasione fiscale, che rendono ricchi i più furbi e i più disonesti, non i più bravi. Meritocrazia e competizione nel mercato garantiscono giustizia e mobilità sociale.
Con una scuola che non premia il merito, di insegnanti e allievi, favoriamo i ricchi: i figli di famiglie benestanti, infatti, possono compensare a casa una scuola che insegna poco, quelli di famiglie povere no. Quando proteggiamo imprese inefficienti, imprenditori senza idee ma con contatti «giusti» nei ministeri, lavoratori pigri riduciamo la mobilità sociale: allora sì che la diseguaglianza che rimane è ingiusta”.

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