Macron insulta l’Italia, Conte gli bacia l’anello, sono 12 secoli che va avanti così…

di Marco Benedetto
Pubblicato il 16 Giugno 2018 - 13:38 OLTRE 6 MESI FA
Macron insulta l'Italia, Conte gli bacia l'anello, sono 12 secoli che va avanti così...

Macron insulta l’Italia, Conte gli bacia l’anello, sono 12 secoli che va avanti così… (Foto Ansa)

Macron e la sua guerra di parole con Salvini aprono inquietanti interrogativi sulla sudditanza  dell’Italia rispetto alla Francia. [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui,- Ladyblitz clicca qui –Cronaca Oggi, App on Google Play] Mi chiedo: può permettersi un capo di Stato di esprimere giudizi su un Governo confinante, amico e alleato? È un po’ come se Mattarella dicesse che gli inglesi sono stati dei fessi a avere votato Brexit. O se la Merkel (lo so, è solo primo ministro, ma conta molto di più) dicesse che gli italiani hanno sbagliato, o fatto bene, a votare no al referendum istituzionale di Matteo Renzi.

Macron ha bollato come “vomitevole” il rifiuto di attracco italiano alla Aquarius carica di “migranti”. Macron ha rievocato l’ombra dell’Asse Mussolini-Hitler nella ricerca da parte di Matteo Salvini di sponde europee a dir poco inquietanti.

Macron si è anche beccato dell’ipocrita dai suoi stessi concittadini. È la polizia francese che rende inutilizzabili le scarpe dei bambini trovati in posizione irregolare prima di rispedirli in Italia. È la polizia francese che spadroneggia a Bardonecchia, in casa nostra, in caccia di clandestini. È in Francia che una guida alpina rischia 5 anni di carcere per avere soccorso una nigeriana incinta di 8 mesi.

Che la Francia ci consideri parenti di serie B è convinzione che ho consolidato nel corso della mia lunga vita. Siamo finiti sotto il tallone francese fin dai tempi di Carlo Magno, un po’ si un po’ no. Il disprezzo dei francesi per gli italiani (peraltro servi degli spagnoli) raccontato da Massimo D’Azeglio nella Disfida di Barletta, ne lo hanno insegnato alle elementari. Andrea Doria mise Genova al servizio della Spagna per sfuggire alla oppressione francese, nelle cui braccia peraltro si buttò Savona. Napoleone ci colonizzò, mettendo in ginocchio l’economia del Nord Italia per decenni. Garibaldi e la RepubblicaRomana furono sconfitti dall’esercito francese e Roma restò papalina fino alla fine del secondo impero francese.

Mussolini, è vero, invase la Francia, ma un piccolo pezzo nel Sud. Lo fece da Maramaldo, quando ormai Hitler aveva preso Parigi. Confermando la poca opinione dei francesi verso gli italiani, riassunta da Dumas nelle parole messe in bocca alla principessa di Condé. Gli italiani, le fece dire, fanno sempre i furbi…

Veniamo a tempi più recenti. Non più Firenze o Napoli nelle mire francesi, ma le grandi aziende italiane. L’unica volta che l’italiana Fincantieri ha messo gli occhi e (quasi) le mani su una grossa azienda francese, la reazione di Parigi è stata feroce. Ancora piange il cuore il ricordo della cessione alla francese Lactalis della splendidamente risanata Parmalat gonfia di cassa. La volle Berlusconi, per tenersi buono Sarkozy, che gli serviva per mandare alla Bce Mario Draghi, unica alternativa credibile come primo ministro (e così poi ci toccò il toccasana Mario Monti). Non è ancora finito, mi pare, l’assalto alla Tim. E prima o poi riemergerà la storia dell’acquisto di centrali nucleari che non si faranno mai, sempre per la serie Sarkozy è un amico, la moglie è italiana…

La cosa più grave di tutte è stata la guerra scatenata da Sarkozy in Libia, contro quel Gheddafi che pare gli avesse anche dato dei soldi. Obiettivo evidente: un po’ di guerra distrae dai guai interni. Obiettivo sottostante: sfilare all’Italia il controllo sul petrolio libico, in atto dai tempi di Balbo e Graziani.

Fu l’unica volta in cui Berlusconi puntò i piedi. Ma durò poco. Fu costretto a cedere, un vero suicidio assistito per l’Italia.

Per la maggior parte della stampa italiana si trattò invece di un’opera meritoria, finalizzata a spazzare via quel beduino così poco rispettoso delle convenienze civili.

Ecco. Quello che mi sconcerta sempre è l’atteggiamento italiano, soprattutto quello dei giornali italiani. Quello iper moralista, per gli avversari, quello acriticamente filo estero quando sotto attacco sono gli avversari, quello assolutamente cieco quando delle stesse colpe si macchia o si è macchiata la parte di riferimento politico.

Ora che Emmanuel Macron si permette, ipocritamente, di criticarci, ma solo dopo che la Spagna ha accolto la nave, maniman gli chiedessero di fare ormeggiare la Aquarius a Marsiglia, tutti con il presidente francese, che ha il coraggio di mettere in riga quel bullo di Salvini e induce al bacio della sacra pantofola quel caro amico di Giuseppe Conte. Conte che va a Parigi senza una parola formale e pubblica di scuse da parte di Macron per quello che ha detto e quello che la Francia di suo fa è emblematico della debolezza di questo Governo. Ma guardiamoci negli occhi, non è che i governi della storia repubblicana (con quelli antecedenti siamo all’avanspettacolo) abbiano mai fatto molto meglio.

Salvini non è proprio il mio tipo di compagno di viaggio. Ma è il primo che rompe l’assedio come andava fatto se il Pd non avesse le mani legate dal doppio conflitto di interesse cooperativistico ecclesiastico. A Marco Minniti va dato il merito di avere condotto bene la parte africana del lavoro. Ma gli sbarchi sono solo diminuiti, non cessati. Salvini sarà un po’ rozzo ma completa il lavoro di Minniti. Fa capire ai trafficanti di uomini e a tutti quelli che sui migranti prosperano che il circolo virtuoso si è spezzato. Uso il termine migranti e non disperati con cognizione di causa. Se disponi di somme fino a 10 mila dollari per pagarti il passaggio in Italia, somme che in Africa sono sinonimo di benessere, vuol dire che sei pronto a fare un investimento sul tuo futuro, per stare meglio tu e la tua famiglia. Aspirazione legittima, che coincide con la vocazione italiana al ripristino della società greca. Gli antichi abitanti nell’agorà di Casaleggio a dibattere, i nuovi arrivati a lavorare per loro e produrre il necessario per mantenerli a far nulla.

C’è bisogno degli stranieri. La nostra vita è cambiata dalla caduta del muro di Berlino, quando le prime ondate di polacchi e romeni arricchirono le nostre case di domestiche e badanti e la nostra economia di manodopera. Senza continui arrivi di forze fresche faremo la fine della antica Roma, implosa per la crisi demografica e fiscale prima ancora che per colpa di Alarico, Odoacre e Attila.

Ma, come diceva il governatore spagnolo di Milano (la più ricca città d’Italia, capitale morale, è stata colonia fino a un secolo e mezzo fa) al suo cocchiere, “Pedro, adelante con juicio”.

Un po’ di selezione, qualche filtro di polizia in più, qualche sforzo per fare coincidere gli arrivi con il fabbisogno sono raccomandati.