Mattarella, prima di chiedere perdono a Macron, doveva pensare ai liguri

di Marco Benedetto
Pubblicato il 17 Febbraio 2019 - 06:34| Aggiornato il 27 Luglio 2019 OLTRE 6 MESI FA

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che accetta senza esitazione l’invito a Parigi del collega Emmanuel Macron lascia l’amaro in bocca. 

Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista hanno fatto un mezzo pasticcio, comportandosi da quelli che sono, rivelando incomoetenza, arroganza, prosopopea fuori misura. Chissà poi se è farina del loro sacchetto o qualcuno ha suggerito loro la guerra, per fortuna di paglia, alla Francia,

Ma i francesi non sono meglio. Quanto a arroganza, presunzione e anche disprezzo nei confronti degli italiani non sono secondi a nessuno. 

I francesi sono capaci di tutto per la loro grandeur. Per anni, ai tempi di De Gaulle, in piena guerra fredda, tennero in scacco il progresso della Unione europea e anche la Nato. E sono arrivati a cancellare la loro vera origine preistorica, che li rendeva in tutto e per tutto identici agli odiati e disprezzati italiani dal punto di vista etnico, per accreditare una discendenza celtica o gallica che si può attribuire a poche sparute minoranze, in Francia come peraltro in val Padana (ricordate le sciocchezze celtiche di Bossi e del Dio Po?).

Dopo avere richiamato l’ambasciatore a Roma come ai tempi della occupazione (francese) di Tunisi quasi italiana o come ai tempi di Mussolini, Macron si è reso conto della esagerazione e ha proposto di far pace. Ma lo ha fatto con quella alterigia che ricorda Napoleone o De Gaulle e che un buon italiano non dovrebbe accettare. La proposta di pace di Macron ha un po’ i tratti di una convocazione al trono, dove la sede dell’impero è capovolta, non è più Roma, è Parigi. 

Macron sembra il preside che convoca il genitore di alunni discoli. E quello imbarazzato corre dal preside a fare ammenda del comportamento dei figli. 

La reazione di Mattarella denuncia uno stato di soggezione ai francesi che è millenaria ma comunque indegna della Repubblica Italiana con tutto il suo orgoglio e anche un po’ di prosopopea. Ma chi lo consiglia a fare certe mosse? 

Mattarella è una delle migliori persone che abbiano fatto politica nel dopoguerra in Italia; è uno dei pochissimi che abbiano rinunciato alla poltrona di ministro per difendere un ideale. L’ideale era la libertà di stampa e la difesa dei giornali dalla asfissia pubblicitaria della tv e di Berlusconi. Berlusconi non gliela ha mai perdonata. Mattarella è diventato presidente della Repubblica contro e nonostante Berlusconi, che all’inizio mancò accettò di complimentarsi. 

Come presidente della Repubblica, ci ha fatto rapidamente dimenticare le interferenze e le incursioni di Giorgio Napolitano, per qualificare il quale basta ricordare che nominò Mario Monti primo ministro e lo fece primo ministro.

Questo però non vuol dire che tutto quello che fa Mattarella sia perfetto. Un caso è la grazia concessa a quei poveretti che uccisero parenti incurabili. Cosa farà con tutti gli altri, passati e futuri? Si rischia un precedente imbarazzante.

Un altro caso è questo della Francia. Certo che la pace andava fatta, certo che bisognava rimediare alle fesserie di Di Maio e Di Battista. Ma un po’ più di stile sarebbe stato gradito. 

Vittorio Emanuele II, che precedette di un secolo e quasi mezzo Mattarella al Quirinale, quando ancora abitava in piazza Castello a Torino, non andò a corte dell’imperatore francese Napoleone III né ci mandò il suo primo ministro Cavour. Cavour, che da solo ha fatto praticamente l’Italia, andò a prendere le acqua alle terme di Plombieres e lì, guarda caso, si trovò con Napoleone e strinse quegli accordi che fecero fare al Piemonte il salto da staterello in mezzo ai monti al grande Regno d’Italia.

Così avrebbe dovuto agire Mattarella. Un incontro con Macron, in un angolo di un grande convegno internazionale, una celebrazione delle tante, una visita semi turistica. Oggi prendere le acque, grande sport di Talleyrand, non va più di moda. Ma ci sono gli aerei e le occasioni di incontro si sono moltiplicate.

Agendo come ha agito, Mattarella ha sputtanato i due incauti grillini ma, dato che a uno dei due capita di essere anche vice presidente del Consiglio, anche l’istituzione Governo è stata un po’ umiliata, sempre a volere dimenticare che la Francia è una repubblica presidenziale mentre l’Italia non lo è, tanto che il nostro presidente non è responsabile da Costituzione per quello che fa, al punto che nei rapporti internazionali deve sempre essere accompagnato dal ministro degli Esteri.

Ora non voglio rivangare la storia dei rapporti fra italiani e francesi da Carlo Magno in giù, via Carlo V, la Disfida di Barletta, Andrea Doria, Napoleone I e Napoleone III. Anche l’ospitalità data da Francesco I a Leonardo da Vinci rientra nel filone arroganza loro e subalternità nostra. 

Le loro aziende in Italia hanno fatto incetta dei nostri gioielli, da Edison a Parmalat. Gli italiani in Francia e Belgio (era Gallia anche quella per il De Bello Gallico), da Agnelli a Berlusconi a De Benedetti, sono stati fermati al Monginevro. Non voglio ricordare nemmeno le malefatte francesi più recenti al confine di Ventimiglia e a quello di Bardonecchia e nemmeno i loro insulti ai nostri governanti. 

Però un po’ più di orgoglio da parte della Presidenza della Repubblica italiana sarebbe stato gradito. L’inno nazionale è il bellissimo inno di Mameli, che solo gli infami disprezzano, non l canzone di Gianni Morandi In ginocchio da te. L’esperienza insegna, nella vita di uno Stato come di una azienda, che sono errori che si pagano.

A conferma di quanto i francesi siano sciovinisti, ci considerino una razza inferiore e non meritino molta umiltà da parte nostra, vi anticipo una storia su cui mi riprometto di intrattenervi in un prossimo futuro.

C’è una teoria, elaborata peraltro da un francese, secondo la quale i francesi di oggi non sono di razza gallica o celtica, ma ligure. La maggior parte dei francesi, infatti, ha i capelli neri, come anche molti inglesi e molti tedeschi e la maggior parte degli italiani. In altre parole, non è vero che la nostra base etnica è italica e la loro gallica. Probabilmente ci sono più italiani di discendenza gallica che non in Francia. Ma alla fine, la tesi che in Francia da un secolo è stata rimossa e cancellata, la base etnica principale italiana e quella francese è la stessa. Siamo tutti di discendenza ligure. E questo ai francesi non va proprio giù. Che poi liguri siano rimasti gli abitanti di quella striscia di montagna che oggi si chiama Liguria, ve ne parlerò a fondo prossimamente, anche se la cosa si spiega da sola. Sotto la pressione degli invasori celti, etruschi, latini e quant’altri, ai liguri rimase solo di scegliere fra sottomettersi o ritirarsi dove era più difficile attaccarli e anche meno conveniente.

I liguri, secondo molte evidenze, erano un popolo che ha occupato gran parte dell’Europa occidentale, Germania inclusa, dopo i Neanderthal e prima dei vari Celti, Etruschi e Latini che sono, almeno in parte, i nostri immediati progenitori. Si tratta di una teoria basata anche sul buon senso oltre che sulle ricerche linguistiche e archeologiche. Ma se riflettete sul fatto che alcuni numeri siano identici in portoghese, francese, piemontese e genovese, la spiegazione non può essere quella della dominazione romana. C’era, mi sono convinto, un popolo molto ma molto più numeroso, che occupava l’Europa continentale. Parliamo di migliaia di anni fa. Erano di stirpe indo-europea anche loro, ma un po’ più primitivi, un po’ meno evoluti, erano pastori e contadini, non avevano armi, fu facile intimidirli e sottometterli. Qualche strage, un po’ di case e stalle bruciate, così è stato sempre il mondo. 

Da allora le lingue si sono evolute, imbastardite, mescolate, divaricate, intrecciate. Non solo le parole, ma la loro pronuncia, gli accenti, i suoni. Succede anche oggi, in questo stesso istante. Pensate al modo di parlare di una generazione, quella dei giovani italiani di oggi, rispetto alla vostra generazione. Lo stesso vale per il territorio, per le classi sociali. Da un borgo a un altro della stessa città l’accento è diverso, di due persone che parlano lo stesso dialetto, l’accento tradisce la classe. Non c’è da meravigliarsi se sostrato ligure, parole celtiche, grammatica latina si sono amalgamati nelle cosiddette lingue neolatine. 

Furono non più di 60 mila, inclusi donne e bambini, i Celti che occuparono la Francia, i guerrieri non più di 16 mila. Furono sufficienti a dominare per mezzo millennio 3 milioni di liguri e qualche residuo di Neanderthal.

Lo studioso francese cui mi riferivo sopra, Henry d’Arbois de Joubainville, è morto nel 1910, ha scritto libri convincenti ma i suoi connazionali lo hanno obliterato.

La sua tesi era che quelle poche decine di migliaia di galli che avevano dato vita alla Gallia (peraltro invenzione amministrativa romana) furono in larga misura sterminati, fra battaglie e pulizie etniche, dai romani. Al punto che quando i romani cercarono di fare crescere una classe media gallica, dovettero promuovere dal basso i migliori degli antichi sottomessi. La cosiddetta aristocrazia gallo-romana, all’origine della borghesia francese, non era quindi altro che la parte emergente delle antiche popolazioni liguri.

A sua volta, Giulio Cesare sottomise alcuni milioni di indigeni, galli e non galli, con appena poche migliaia di legionari.

Pochi furono i romani, e pochi i franchi e i visigoti che poi occuparono la Francia, i cui discendenti l’hanno poi dominata per oltre un millennio (leggere l’interpretazione autentica data dal Re Sole).

Ormai le opere di Henry d’Arbois de Joubainville sono praticamente introvabili. Il libro che vi sto anticipando, I primi abitanti dell’Europa, si può scaricare online grazie a una iniziativa di digitalizzazione di libri rari francesi che si chiama, coincidenza, Gallica. I grandi storici francesi, da Michelet a Duby a Braudel, i liguri non li nominano nemmeno. Fanno descrizioni dettagliate, ci sono quasi dei puntini virtuali da riempire e la risposta giusta è liguri. 

Liguri però, come ha scritto Henry d’Arbois de Joubainville, vuole dire gente con i capelli neri, gli occhi scuri, grandi lavoratori ma anche un po’ imbroglioni, le stesse caratteristiche attribuite agli italiani da Barras, uno degli artefici della trasformazione della rivoluzione del 1789 in regime. Vuol dire, appunto, italiani. E questo, ai francesi, proprio non piace.