Mediaset in Borsa: né Renzi né D’Alema ma Berlusconi e Rai

Pubblicato il 2 Dicembre 2014 - 07:55 OLTRE 6 MESI FA
Mediaset in Borsa: né Renzi né D'Alema ma Berlusconi e Rai

Renzi e Berlusconi. Sui titoli Mediaset ha pesato di più il futuro di Berlusconi stesso

MILANO – “Matteo Renzi fa male ai titoli Mediaset

strilla Repubblica, che, per rafforzare il concetto di Renzi San Giorgio che uccide il biscione Berlusconi, ricorda:

“Biscione ok con D’Alema e Letta”.

Non serve più sfogliare le annate dei tempi del Minculpop, non serve Alessandro Pavolini redivivo.

Il Regime è intrinseco al Dna italiano. Il sottotitolo completa il pensiero:

“Le tv di Arcore hanno perso il 20% dall’insediamento del premier contro il – 2% di Piazza Affari e il +3% dei media europei. Tempi duri anche con Monti e (in un corto circuito da psicanalisi) persino con Berlusconi. Performance d’oro invece con i governi D’Alema e Letta”.

La sensazione è di essere in presenza di un atto primordiale, la nascita del Titano Renzi che distrugge il diavolo Berlusconi.

L’articolo di Ettore Livini  è sulla linea. Strano che a un bravo giornalista come Ettore Livini sfuggano le tante variabili che possono avere influito sul titolo Mediaset:

1. la realtà del mercato italiano, dove l’offerta di tv nazionale libera, in chiaro, è eccessiva e sempre più scadente, causa i tagli dei costi imposti a ondate crescenti da più di 20 anni a questa parte dalla brama (o necessità) di risultati positivi per Berlusconi;

2. ciò ha favorito Sky, dell’odiato Murdoch, che continua a crescere, in qualità e pubblico. Berlusconi topo brianzolo non ha mai avuto una visione globale (tranne lo sfortunato tentativo in Francia e l’exploit in Spagna), mentre Murdoch, che ha giocato sullo scacchiere mondiale, rischiando il collo, oggi è in grado di spalmare i conti su una audience planetaria, mentre Berlusconi il suo piccolo digitale terrestre fatica e prima o poi sarà venduto: a meno di un miliardo di euro, cifra ciclopica per i comuni mortali ma un’inezia in questo mondo galattico;

3. la dissennata politica dei prezzi della pubblicità messa in atto dalla Rai, che ha determinato, l’anno scorso, il calo anche di internet, caso unico al mondo.

Ettore Livini concentra invece la sua attenzione sulla storia “politica” di Mediaset, anche in questo mancando di cogliere il nesso: non è il nome di siede a Palazzo Chigi a influire sui titoli Mediaset, ma la percezione da parte degli investitori istituzionali italiani e internazionali del futuro, non del presente, politico di Berlusconi e quindi della sua capacità di tutelare gli interessi delle sue tre tv, come ha fatto da sempre e ancor più da quando è diventato protagonista in prima persona.

Scrive Ettore Livini:

“La storia parallela dei governi italiani degli ultimi 20 anni e della quotazione delle tv del Biscione racconta una verità a sorpresa: Renzi, come Mario Monti, è stato un mezzo incubo per gli azionisti delle tv dell’ex-Cavaliere. Che ricordano invece con grande nostalgia i guadagni d’oro messi assieme quando a Palazzo Chigi sedevano Massimo D’Alema ed Enrico Letta. Di più: il premier Silvio Berlusconi, con un cortocircuito da lettino dello psicanalista, si è rivelato il peggior nemico del Silvio Berlusconi socio di Cologno”.

L’articolo sembra un po’ una risposta proxy all’attacco di Pierluigi Bersani contro Renzi:

“Bersani un paio di settimane fa [ha detto]: “Non c’è persona che non abbia notato come nel giorno del rinnovo del patto del Nazareno l’indice generale del listino ha fatto -2,9% mentre Mediaset ha guadagnato il 6%”, ha fatto notare sibillino e un po’ polemico. Vero: il 12 novembre il titolo del Biscione – spinto anche dalle previsioni di utile a fine anno – si è mosso in netta controtendenza rispetto al Mibtel”.

La battuta di Bersani è degna di uno che ha regalato la presidenza della Camera a Sel e messo Piero Grasso presidente del Senato e Ignazio Marino sindaco di Roma. Ettore Livini non cade dal pero:

“Il mercato però non vive solo 24 ore. E allargando l’obiettivo ai nove mesi del governo, il risultato è opposto: il 22 febbraio scorso, primo giorno da presidente del Consiglio di Renzi, un’azione Mediaset valeva 4,1 euro. Oggi è a 3,25, il 20,8% in meno (segui il titolo in diretta). Certo la politica non è l’unica variabile che muove i titoli in Borsa, regola che vale per tutti gli esecutivi degli ultimi decenni.

“Tra febbraio ed oggi però il resto del listino è sceso solo del 2,2% mentre le quotazioni dei concorrenti europei del Biscione nel settore media sono cresciute del 3%. Una mezza Caporetto per Arcore, insomma, simile a quella andata in onda nell’era Monti: in 17 mesi, in quel caso, Mediaset ha lasciato sul terreno il 10,9%. Non tantissimo in assoluto, ma una performance da dimenticare se confrontata con il +7% dell’indice generale e il +34% messo a segno nello stesso periodo dagli altri network continentali”.

Ricorda Ettore Livini che le televisioni di Berlusconi

“hanno vissuto a Piazza Affari giorni decisamente migliori. Indimenticabile, ad esempio, la galoppata a cavallo del millennio, quando a capo dell’esecutivo c’era Massimo D’Alema, altro esponente del Pd accusato spesso di “intelligenza” con l’ex-Cav. In questo caso, in effetti, Piazza Affari conferma. Nell’anno e mezzo (e due governi) di “Baffino” tra il 1998 e il 2000, Mediaset ha guadagnato il 228%”.

La spiegazione è un po’ tanto semplicistica e lo stesso Livini se ne rende conto:

“In quei giorni, c’è da dire, la bolla della new economy gonfiava in maniera artificiale il valore delle aziende media e tlc. Ma l’indice del settore in quei 18 mesi è salito appena del 139% mentre la Borsa di Milano ha segnato un +52%”.

In quei giorni però un po’ tutti i titoli media in Italia crebbero fuori misura, a cominciare da quello dell’Espresso, di cui fa parte Repubblica, da meno di 1 euro a 26 per azione. La conferma è nelle parole che seguono:

“Ancora meglio, in proporzione, è andata con Letta premier. In 10 mesi il Biscione ha fatto +118%, il quadruplo dei competitor e del resto della Borsa.

“Silvio Berlusconi invece, parlando di Piazza Affari, si è rivelato il peggior nemico di se stesso malgrado l’impegno personale speso sul fronte delle leggi “ad aziendam”. All’epoca del suo governo tra il 2001 e il 2006, fatte le dovute proporzioni, le cose erano andate persino bene: Cologno, è vero, è scivolata del 12,8%. Ma lo Stoxx media aveva archiviato il quinquennio con un disastroso – 42,8%.

“Tutta un’altra storia invece è il Berlusconi IV tra il maggio2008 e quel novembre 2011 in cui lo spread volava a quota 700. I titoli delle tv del premier sono crollati in quel periodo del 64% da 5,9 a 2,1 euro. Facendo ben peggio di Piazza Affari e molto peggio dello Stoxx media (-18%)”.

 

Conferma della teoria sopra esposta: la Borsa riflette non il presente ma il futuro e tutti scommettevano, con ragione, sulla imminente caduta di Berlusconi. Caduta fino a un certo punto, più lenta di molti desideri, ma certo inesorabile.