Scalfari: “Salviamo l’art. 18”. E fa dire a Draghi quello che non ha detto

Pubblicato il 13 Ottobre 2014 - 07:36 OLTRE 6 MESI FA
Scalfari vuole conservare l'art. 18 e fa dire a Draghi quello che non ha detto

Eugenio Scalfari: “Anche Draghi dice che…” Difesa a oltranza dell’art. 18

ROMA – Eugenio Scalfari si è schierato per conservare l’art.18 dello Statuto dei lavoratori, e allo scopo ha anche fatto dire a Mario Draghi quello che non sembra abbia detto.

Mario Draghi, a leggere i resoconti di agenzia, ha escluso che l’abolizione dell’art. 18 porti a licenziamenti di massa perché i licenziamenti di massa, dopo 5 anni di recessione, ci sono già stati. Tuttavia, con la cautela del banchiere e del gran commis, ha lasciato capire che se non si cambiano le regole del mercato del lavoro la crisi continuerà e la ripresa sarà una fenice.

Si ricorda che la tutela di cui all’art. 18 riguarda i lavoratori di aziende con più di 15 dipendenti, mentre ne sono esclusi tutti gli altri, la maggioranza. La tutela protegge i più deboli, ma l’esperienza insegna che nelle file dei più deboli si annidano legioni di fannulloni, che approfittano dello scudo spaziale dell’art. 18 per non lavorare.

Anche per questo grandi aziende come Telecom rinunciano a assumere, fino a quando non saranno definite nuove regole.

Scalfari fa dire a Draghi un concetto sacrosanto ma ormai molto vuoto e che Draghi non ha espresso proprio così: ci fosse crescita, il problema dell’art,18 non si porrebbe. La crescita è preferibile ai licenziamenti e la possibilità di licenziare non genera crescita. La possibilità di licenziare rende però più facili le assunzioni, perché consente di fare uscire dall’azienda chi costituisce un peso. Non ci sono più le condizioni perché le aziende possano farsi carico di una quota sociale di fannulloni.

Scalfari dovrebbe sapere, per esperienza diretta, che tutto va bene finché tutto va bene, ma quando la crescita si trasforma in declino, regole e rigore garantiscono la sopravvivenza dell’azienda. Se tolleranza e lassismo continuassero anche quando la crescita non assorbe più le deviazioni, l’azienda morirebbe.

Mario Draghi ha detto:

“La riforma del mercato del lavoro non causerà licenziamenti di massa. La penisola è stata in recessione così a lungo che le imprese che volevano licenziare lo hanno già fatto”.

“La crescita è troppo bassa per ridurre la disoccupazione, non possiamo ritardare le riforme strutturali. Non vedo un’uscita dalla crisi a meno che non ci sia fiducia nel futuro potenziale delle nostre economie”. 

“Chi non riforma sparirà. Troppo spesso le riforme sono state posticipate durante i tempi cattivi e poi dimenticate in tempi buoni. Non sono certo certo che ci saranno tempi molto buoni se non facciamo riforme ora”.

Eugenio Scalfari ha scritto, su Repubblica di domenica 12 ottobre:

“suo discorso al Senato il buon ministro del Lavoro ha fatto capire che la delega prevede l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori; analoghe dichiarazioni aveva già fatto il capogruppo dei senatori del Pd, Luigi Zanda, ma nella legge l’articolo 18 non è mai menzionato. Si parla genericamente del lavoro e di alcune misure che lo concernono, del precariato, dei possibili indennizzi. E basta.
Le modifiche dell’articolo 18 a quanto lo stesso ministro del Lavoro ha dichiarato e Zanda confermato e Renzi a sua volta più volte indicato, saranno contenute in uno dei decreti attuativi nella legge delega. I decreti attuativi vengono discussi dal governo previo parere di un comitato parlamentare appositamente eletto dalle commissioni competenti. Ma il comitato si limita ad emettere un parere non vincolante dopodiché i decreti vengono emessi e diventano immediatamente esecutivi, non passano più attraverso le Camere. Conclusione: l’articolo 18 sarà abolito per decreto non soggetto al visto del Parlamento.
Giova ricordare per chi l’avesse dimenticato in che cosa consiste l’articolo 18. Fu introdotto nella legislazione italiana nella prima metà degli anni Sessanta dell’altro secolo dall’allora ministro del lavoro socialista Giacomo Brodolini e stabiliva che i licenziamenti potessero avvenire soltanto se esisteva una “giusta causa” a motivarli. Naturalmente questo non avveniva quando un’impresa era in un tale dissesto prefallimentare da dover ristrutturare interamente il proprio modo di produrre e la manodopera addetta. Ma questa era un’altra questione e non riguardava il licenziamento individuale protetto invece dalla giusta causa che poteva essere invocata dal licenziato attraverso un ricorso sul quale interveniva il giudice del lavoro che dava ragione all’una o all’altra parte; se la giusta causa non emergeva pienamente il lavoratore veniva reinserito nella stessa mansione che fino a quel momento aveva praticato.
Allo stato attuale questa situazione è tuttora in piedi con leggeri indebolimenti introdotti qualche anno fa dalla Fornero che però lasciano intatto il principio. I padroni dalle belle brache bianche da quando Brodolini intervenne quelle brache non le hanno più potute mettere. Ma adesso se vogliono potranno rifarlo dopo l’abolizione dell’articolo 18.

È possibile che i tempi in cui viviamo rendano necessari questi mutamenti ancorché estremamente dolorosi.

Ma consentite che io mi rifaccia alle parole di Draghi che certamente di questi argomenti se ne intende forse più dei nostri politici. Draghi [libera interpretazione di Scalfari] ci ricorda che il problema non è di licenziare ma di creare nuovi posti di lavoro e aumentare la produttività del sistema. Questo è il punto.

Licenziare non serve a niente o meglio serve ad accattivarsi quei padroni che vogliono rimettersi le brache bianche. A me non sembra una motivazione sufficiente. Nei prossimi giorni il sindacato Cgil, la sua segretaria Camusso e il segretario della Fiom Landini guideranno un corteo di lavoratori.

Quelli protetti tuttora dall’articolo 18 ammontano a 6 milioni che con l’indotto [dove è scritto che ‘art. 18 si applica all’indotto, a prescindere dal numero magico di 15 dipendenti, Scalfari non lo precisa] e le relative famiglie salgono di un bel po’.

Vedremo qual è l’umore che emanerà da quel corteo e le decisioni successive del sindacato. Ma il sindacato purtroppo (o per fortuna) non fa politica, ha il solo compito di tutelare gli interessi dei lavoratori e dei pensionati che rappresenta.

Resta dunque il problema dei politici. Che cosa faranno? Si intestardiranno nell’abolizione di un articolo la cui esistenza non interessa nessuno salvo i diretti danneggiati?

Non interessa l’Europa, non interessa la Germania e neppure la Francia. In alcuni Paesi quella protezione esiste, [in Francia la soglia che fa scattare le tutele è di 50 dipendenti e sono disperati anche loro], in molti altri no perché è più facile che i licenziati trovino altri posti di lavoro. Qui da noi questo non sta avvenendo o è molto difficile.

Certo l’abolizione dell’articolo 18 è un profondo cambiamento ma verso il vecchio non verso il nuovo.

Personalmente amerei che si cambiasse verso il nuovo. Se avviene il contrario non credo che questo Paese avrà un bel futuro”.