Spending review: quante tasse pagate per festival e premi letterari, inutili e costosi?

di Marco Benedetto
Pubblicato il 5 Ottobre 2019 - 14:05| Aggiornato il 8 Ottobre 2019 OLTRE 6 MESI FA
Spending review: quante tasse pagate per festival e premi letterari, inutili e costosi?

Foto archivio ANSA

Quante tasse si risparmierebbero se venissero aboliti i contributi di Stato, Regioni, Province, Comuni, Enti pubblici in genere a tutte le manifestazioni culturali che non stanno in piedi da sole? Autofinanziate. Si potrebbe anche permettere la sponsorizzazione di privati, ma previo parere dell’Anticorruzione e garanzie sul conflitto di interessi. Lo sponsor non deve essere appaltatore, presente o futuro per almeno 3 anni.

Non ne abbiamo idea, anche se solo una occhiata al bilancio dello Stato fa intravvedere cifre interessanti. A che servono? A migliorare il livello culturale degli italiani? Visto il livello di analfabetismo di ritorno denunciato su Repubblica da Michele Serra, c’è da constatare il fallimento e lo spreco. 

Ogni tanto emerge un caso dai giornali. Un premio alla memoria di un grande giornalista e scrittore, un festival cinematografico di vecchie glorie roba da cineforum anni ’50, solo con onorari e spese per milioni. Il riferimento è attuale, alla Festa di Roma prossimamente qui.

Era la passione di Veltroni, perito cinematografico. C’erano già Venezia e Torino, ma non gli bastava. La cosa stravagante è che i film sono sempre meno, quelli belli ancor meno, quelli italiani meglio non dirne e abbiamo più festival del cinema che città.

Buchi? Rifiuti? Non si vive di solo pane, e amici e compagni. E senza cultura non si campa o si deve lavorare. Nicola Zingaretti, da presidente del Lazio, qualche anno fa scoprì di avere risparmiato 2 milioni di euro, un’inezia, se volete. Sarebbe stato un bel gesto dire a quegli infelici che subiscono le tasse più alte d’Italia: un euro a testa, l’ho risparmiato, ve lo restituisco. Invece cosa ha fatto il Nostro?

Li ha fatti rifluire fra i vari Comuni del Lazio , 377 rivoli di spese inutili, come scrivemmo a suo tempo. Attività culturali, appunto, dove più difficile è l’analisi del costo orario e la verifica a posteriori delle opere eseguite. Mantenendo intellettuali da “culturame” (copyright Scelba) e artisti di strada, invece di chiuderle le buche di quelle strade.

Perché tagliatori di costi tanto mitizzati come Cottarelli e Giavazzi si sono persi come nel delta dell’Okawango? Perché il loro lavoro tecnico quanto inesorabile confliggeva con la visione del committente politico, il primo ministro in carica: fallirono con Monti, con Letta, con Renzi. Il conflitto di interessi tra due legittimi ma inconciliabili approcci alla spesa pubblica è risultato insuperabile.

Il paradosso è che noi viviamo con il tallone sul collo dei tedeschi, che alle SS hanno sostituito i bilanci come strumento di dominio in Europa. Possiamo spendere poco e quel poco lo spendiamo male. Così perdiamo due volte: buttiamo i soldi in festival, dibattiti, manifestazioni inutili e quanto dovremmo spendere per far girare un po’ meglio le cose non possiamo spenderlo perché i tedeschi, via proxy  Europa, non vogliono.

Se qualcuno si chiede come hanno fatto in America a superare la recessione che ancora (grazie a Monti) ci attanaglia e viaggiano con livelli di occupazione mai visti in 50 anni, la risposta è che Obama, prima ancora di Trump, non ha badato a spese, mantenendo il livello del debito pubblico a livelli record, archiviando i miti liberisti che portarono alla crisi Lehman e alla recessione mondiale. Un bel po’ di sano keynesianismo che il vituperato populista (ma noi abbiamo l’avvocato del popolo) ha cavalcato massimizzandone gli effetti.

Ma non credo che in America Governo federale o amministrazioni locali quel po’ di Pil che sfora lo zero budget lo spendano, o meglio: sprechino, per la memoria di questo, il ricordo di quello, un premio là, un red carpet di vecchie glorie là.