Suburra. Da core di Roma a Mafia Capitale, la lingua tradita

di Warsamé Dini Casali
Pubblicato il 27 Ottobre 2015 - 10:08 OLTRE 6 MESI FA
Suburra. Da core di Roma a Mafia Capitale, la lingua tradita

Suburra. Da core di Roma a Mafia Capitale, la lingua tradita

ROMA – Sulla cronaca romana de Il Messaggero due colpi di pistola di ritorsione e avvertimento richiamano l’ultima incarnazione dell’antico toponimo “Suburra”. Termine mondo che, partito con il designare la parte bassa della città, pur non smentendo il dispregio implicito delle origini, segnala ora un certo tipo di comportamento criminale, l’esistenza di un agire mafioso caratteristico di Roma e dintorni, di un codice linguistico destinato al malaffare. Impreziosito da link inevitabili con la Casta politica locale, speziato dalla presenza del delinquente zingaro. Sinonimo di Mafia Capitale.

Ma come si arriva dalla “Svbvra” latina, sottostante i colli Viminale, Quirinale, Oppio e Celio, diciamo le attuali propaggini del rione Monti, alla descrizione giornalistica di un regolamento di conti a Ostia? (dove, peraltro, a tal Massimo Cardoni, titolare di chiosco in odor di brutte frequentazioni  – era amico di Baficchio e Sorca Nera, destinatari di analogo recente agguato a colpi di revolver – cui hanno sparato addosso da distanza ravvicinata per punire lo sgarbo di averci provato con la ragazza sbagliata) “nel peggior stile Suburra”, per l’appunto, come annota Mirko Polisano, il cronista). E, mentre scriviamo, altro titolo sparato online del Messaggero, “Roma come suburra, choc nella notte due uomini uccisi nella notte a Ponte di Nona”.

Suburra, associazione linguistica e mentale praticamente obbligata dopo l’uscita del film “Suburra” di Stefano Sollima, dal libro della coppia De Cataldo (il giudice che ha scritto Romanzo Criminale) Bonini (titolare delle inchieste su Repubblica), sceneggiato da Rulli e Petraglia (dai tempi de La Piovra non sbagliano un colpo battendo sempre sullo stesso tasto).

“Suburra” è la decalcomania cinematografica dello spartito giudiziario-criminale suonato da qualche anno su tutti i notiziari e i giornali. Prosegue con un pizzico di ruffianeria assonante il successo del lemma Gomorra che, dai deserti mesopotamici raccontati nel Libro, è giunto intatto alle periferie dannate di Napoli. Il tour semantico di Suburra è un po’ più complicato. Resta la vita bassa (da non confondere, come in Arbasino, con le brache calate all’inverosimile dai pischelli che non sanno di imitare i galeotti afro-americani) ma con diverso coefficiente di classe.

Quella suburra, quella di Roma antica, indicava “la contrada di Roma più frequentata della città e dove dimoravano le meretrici, i barbieri e di altri bassi mestieri” (Introduzione all’etimologia romanza). Scuse ovvie vanno ai barbieri, che solo in Roma antica facevano ancora parte del colorato e un po’ minaccioso sottoproletariato suburbano. Bordelli ancora attivi sono invece segnalati intorno a via de’ Serpenti.

Comunque un luogo vivo, Roma vera almeno da quando ci si installò Servio Tullio, uno dei 7 re. Affollatissima, rumorosa, dinamica, pericolosa, era il posto delle Luparie (i Lupanari), ma anche ciò che più l’avvicina all’invenzione ottocentesca delle grandi metropoli. Giulio Cesare nacque in questo alveare. Nerone ci andava travestito per sondare gli umori del popolo. Messalina per spassarsela.

Questa Suburra, quella del film-libro rilanciata dai giornali, è un luogo comune, attraversato da ripetitori umani di frasi fatte. Destinato al successo commerciale perché pensato non per il popolo, ma per la plebe televisiva.