Filippine, la guerra alla droga di Duterte: 1.800 spacciatori uccisi in due mesi

di Anna Boldini
Pubblicato il 30 Agosto 2016 - 09:11 OLTRE 6 MESI FA
Filippine, la guerra alla droga di Duterte: 1.800 spacciatori uccisi in due mesi

Filippine, la guerra alla droga di Duterte: 1.800 spacciatori uccisi in due mesi

MANILA – In campagna elettorale aveva promesso di massacrare i criminali. E mai promessa pre-elettorale fu più mantenuta. Il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte ha dichiarato guerra alla droga, e le cifre sono davvero quelle di una guerra: dal primo luglio, giorno dell’entrata in carica di Duterte dopo le elezioni di maggio, la polizia filippina ha ucciso 895 sospetti spacciatori, altri mille omicidi sono imputati a “vigilantes” legati ai cartelli del narcotraffico, quasi 13mila persone sono state arrestate, 41mila spacciatori si sono costituiti e 585mila consumatori di stupefacenti si sono autodenunciati.

Il discusso presidente è arrivato persino a mettere una taglia sui poliziotti che non collaborano alla sua guerra: 43mila dollari di ricompensa a chi denuncia qualcuno implicato nel traffico di stupefacenti. Non proprio noccioline.

Lo stesso capo della polizia nazionale delle Filippine, anche per non rischiare di essere accusato di connivenza, ha denunciato 300 dei suoi agenti, sospettati di essere coinvolti nel traffico di stupefacenti. Ronald de la Rosa ha detto che gli agenti in questione sono su una lista di controllo con l’accusa di spaccio di droga sequestrata nei raid o di aver protetto criminali coinvolti nella produzione e distribuzione di sostanze stupefacenti.

Le esecuzioni extragiudiziali di Duterte hanno provocato anche la reazione dell’Onu, a cui il presidente filippino ha risposto minacciando di ritirare il Paese dall’organizzazione. Va dritto per la sua strada, Duterte, forte del consenso popolare per i suoi metodi spicci e di sicuro effetto. E chi si oppone viene accusato di legami con il mondo del narcotraffico. Come la senatrice che ha richiesto un’interrogazione parlamentare sulle esecuzioni.

Dopo le fotografie emerse settimane fa di cadaveri di presunti spacciatori o tossicodipendenti esposti in strada di notte, spesso con il cartello “sono uno spacciatore” sul petto, Duterte ha costantemente ribadito il senso della sua missione, facendo intendere che gli uccisi hanno avuto quello che si meritavano.

L’unico rischio concreto per il presidente, come sempre in casi di violazioni di diritti umani, non sono tanto le condanne da tutte le parti, quando la fuga degli investimenti stranieri, che con il predecessore Benigno Aquino avevano conosciuto una certa spinta. Il rischio della guerra alla droga di Duterte è che le Filippine ritornino il “malato d’Asia”.

 


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