Dopo Indipendence Day e The day after tomorrow, una nuova catastrofe firmata Roland Emmerich ha invaso i grandi schermi europei. Il regista, nato tedesco ma hollywoodiano di adozione, ci ha da diverso tempo abituato alle sue sontuose e roboanti ricostruzioni di Apocalissi moderne.
Questa volta, però, nel film c’è anche un mega spot per il primo ministro italiano. Le riprese hanno avuto inizio nell’agosto del 2008 e sono state concluse a gennaio 2009, quindi in epoca pre Noemi, però per una straordinaria coincidenza la storia calza a pennello all’immagine che l’attuale capo del nostro Governo, Silvio Berlusconi, vorrebbe proiettare di sé.
Mentre tutti i capi di Stato e di Governo del mondo corrono sulle montagne della Cina per trovare rifugio su delle mega arche di Noè stile duemila, in super alluminio, multicomfort e automatizzate, due soli restano al loro posto: il presidente degli Stati Uniti, interpretato da un attore di colore, molto più anziano di Obama (il quale però era stato già eletto, quindi nessuna capacità profetica ma adattamento alla cronaca); il primo ministro italiano, il quale invece di imbarcarsi preferisce morire nel crollo del soffitto della cappella Sistina, circondato da vecchi cardinali in alta uniforme, tutti inginocchiati in preghiera. Il primo ministro italiano è in mezzo a loro, stretto alla moglie, con il velo in testa, a un figlio bambino, con una candela in mano. L’attore che lo interpreta è alto, magro, bello e con una folta capigliatura. Colpisce che nessun italiano sia stato scelto dagli organizzatori della fuga a Pescara edizione 2012 per salire sull’arca con la regina d’Inghilterra (cane e marito al seguito) e il premier cinese. A un certo momento, quando un’opinione di tutti i leader mondiali è richiesta, parla un probabile Sarkozy per dire che lo fa anche a nome del primo minmistro italiano, nel frattempo defunto.
Voluto o non voluto, il riferimento al premier italiano sa di megaspot, anche se le reazioni del pubblico non sembrano unanimi. Secondo il quotidiano Libero, il redattore che l’ha visto è stato sorpreso da due scrosci di applausi e grida entusiastiche per il “grande Silvio” (pubblicato domenica 15 novembre); in un cinema di Roma, secondo la testimonianza di un collaboratore di Blitz, la sorpresa è stata accolta con incredulità e qualche risata.
Colpisce un altro particolare: mentre crollano il Vaticano, la Casa bianca e tempio buddista sul tetto del mondo, la Mecca resta in piedi e nessuno si sogna di fare cadere in testa ai fedeli musulmani inginocchiati in preghiera il mega cubo della Kaaba, simbolo dell’Islam. La produzione del film spiega che è stata precisa intenzione evitare di essere colpiti da una fatwa. (Forse è l’efficacia delle fatwe islamiche a fare tornare di moda anche nella Chiesa cattolica le scomuniche).
Nel suo film, 2012, Emmerich si ispira ad una profezia Maya. Secondo questa il 21 dicembre 2012 sarà l’ultimo giorno del mondo. In realtà, più che del mondo in assoluto, del mondo come è stato tra un’alluvione e l’altra, quella che portò Noè in cima al monte Ararat e questa, frutto di uno tsunami peraltro previsto e calcolato dal politically correct scienziato indiano che doverosamente muore abbandonato al suo destino da un bieco capo della sicurezza Usa (e se anche l’altra volta fosse stato uno tsunami? questa forse è una non cercata spiegazione della Bibbia che può avere un senso). Il mondo riprenderà il suo cammino il primo gennaio del 2013, saggiamente resettato a 0001, col il seme dei potenti della terra, dei loro figli, dei ricchi che hanno potuto pagare un biglietto da un miliardo di euro a persona, e di un gruppo di gente comune, multirazziale, imbarcato all’ultimo momento.
Mentre i Maya sono stati quasi interamente spazzati dalla faccia della terra, capaci di prevedere la fine del mondo ma non quella del loro impero, il mondo è arrivato all’anno cruciale, il 2012, malgrado i vani annunci degli astrologi e nella totale sordità degli scienziati che non hanno voluto prestare fede al vaticinio. Così, quando la catastrofe si abbatte sul pianeta, è già troppo tardi e solo i potenti del mondo hanno i mezzi per mettersi a riparo. Mentre tutto intorno il mondo salta in aria, lo scrittore Jackson Curtis (interpretato da John Cusack) si lancia in un’assurda corsa contro il tempo.
Questa la trama del film costato oltre 200 milioni di dollari, girato in cinque mesi, e che ha mobilitato 500 mila tonnellate di acciaio per le sue spettacolari ricostruzioni. La trama si vuole una versione moderna di un antico mito condiviso dal cristianesimo e da altre culture, il Diluvio Universale e l’arca di Noè (miti che, sotto nomi diversi, si ritrovano nell’epopea di Gilgamesh e nel mito greco di Deucalione e Pirra).
Il genere catastrofico, come dichiara Emmerlich in un’intervista al Figaro, da tempo è entrato a far parte dei gusti del pubblico moderno in maniera stabile. Questa preferenza è da mettere in relazione con il diffuso pessimismo che caratterizza i primi anni di questo secolo. I drammatici cambiamenti climatici ed economici, accompagnati da inadeguate reazioni politiche, sono tra le cause di una visione del futuro cupa e angosciata.
In questo stato di cose il mito della fine del mondo trova un perfetto innesto. Ogni cultura e religione, precisa il regista, contiene al suo interno un mito dell’origini e uno della fine del mondo. Il primo racconta i primi passi dell’uomo sulla terra, in una prospettiva spesso egualitaria e irenica; il secondo annuncia e sublima l’ineludibile, agli occhi dell’uomo, fine della specie.
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