Con l’atteso “Invictus” Clint Eastwood si conferma invincibile

Pubblicato il 5 Marzo 2010 - 19:01 OLTRE 6 MESI FA

Ripetersi dopo i successi di “Million Dollar Baby” e “Gran Torino” sarebbe stato difficile per chiunque. Ma non per il vecchio Clint. Il regista più conservatore d’America firma con “Invictus” uno dei suoi migliori film di sempre, fornendo una prova registica di assoluto spessore. La pellicola, ispirata al libro di John Carlin “Ama il tuo nemico”, racconta il miracolo politico compiuto da Nelson Mandela nel 1995.

Appena eletto presidente del Sudafrica, dopo 27 anni di prigione, Mandela (interpretato da un eccellente Morgan Freeman) capisce di dover frenare in ogni modo la rabbia della popolazione nera verso gli Afrikaaner, la minoranza bianca. Le ferite lasciate da decenni di apartheid sono troppo profonde per sperare in una riconciliazione del paese. Eppure, un evento apparentemente irrilevante come l’assegnazione del campionato del mondo di rugby allo stato sudafricano, si trasforma agli occhi del neopresidente in un’occasione politica imperdibile. Riunire una nazione spaccata attraverso lo sport.

Impresa ardua dal momento che il gioco della palla ovale – amato dai bianchi sudafricani e odiato dalla maggioranza nera – aveva rappresentato per anni uno dei simboli dell’apartheid. E così Mandela, lavorando assieme al capitano della squadra sudafricana – gli SpringboksFrançois Piennar (Matt Damon), trasforma dei semplici rugbisti in figure sociali capaci di trasmettere a milioni di persone il cambiamento di un intero paese. Gli Springboks si recano prima nelle township del Soweto – insegnando lo sport dei bianchi ai ragazzini neri – poi fanno visita al carcere di Robben Island dove “Madiba” Mandela ha vissuto per quasi tutta la sua vita.

Piennar riesce ad instaurare, giorno dopo giorno, un rapporto privilegiato il presidente, al punto di sposare appieno il suo progetto politico/sportivo superando le iniziali diffidenze dei compagni di squadra e della sua stessa famiglia. E così gli Springboks iniziano a prendere coscienza del loro ruolo: non sono più i rappresentanti della minoranza bianca ma di una nuova nazione in cerca di “grandezza ed ispirazione”, usando le parole di Freeman-Mandela. La squadra di Piennar comincia a vincere una partita dopo l’altra, fino ad approdare all’insperata finale contro gli All Blacks neozelandesi dell’immarcabile Jonah Lomu.

È il 24 giugno del 1995 e all’Ellis Park Stadium Johannesburg accade l’impossibile: migliaia di spettatori, senza distinzione di colore, iniziano ad intonare l’inno sudafricano dei neri, fino a qualche mese prima considerato un atto da terroristi. E gli Springboks, spronati dall’incessante tifo dei sostenitori sudafricani, riescono a superare dopo un’estenuante sfida i favoritissimi All Blacks coronando così il sogno di Mandela.

Inutile dire che le molte sequenze sportive – fatte di corse, sudore e placcaggi – non possono che stupire per la loro spettacolarità ed efficacia visiva. Ma la bravura di Clint Eastwood è quella di riuscire ad emozionare attraverso una ricostruzione perfetta della figura politica di Mandela. Il leader sudafricano rivive letteralmente nello schermo attraverso la maestosa interpretazione di Morgan Freeman – al terzo film con Eastwood -, autore di una delle sue performance più convincenti di sempre. Il resto lo fanno i dialoghi a dir poco perfetti, le splendide inquadrature, il tono antieroico tipico del cinema di Eastwood – in questo degno successore di John Ford – ed un’ammirevole semplicità narrativa.

“Invictus” riesce così a fondere la profondità del messaggio politico alla ritualità dell’evento sportivo con incredibile facilità. Il rugby diventa infatti metafora della vita proprio come era accaduto per il pugilato in “Million Dollar Baby”, replicando sul campo da gioco lo scontro sociale di una nazione lacerata. Epico, evocativo, commovente. Con “Invictus” il texano dagli occhi di ghiaccio ha fatto centro ancora una volta.