Corea del Sud: attrice Choi Eung-Hee è morta. Venne rapita con il marito da Kim Il Sung

di redazione Blitz
Pubblicato il 17 Aprile 2018 - 14:20 OLTRE 6 MESI FA
E' morta l'attrice sudcoreana Chiu Eung-Hee

Corea del Sud: attrice Choi Eung-Hee è morta. Venne rapita con il marito da Kim Il Sung (Choi con il marito)

SEUL – E’ morta lunedì 16 aprile, all’età di 91 anni, Choi Eun-hee, una delle più grandi attrici del cinema sudcoreano.

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La sua vita, però, non è stata solo importante per il cinema, ma anche per la storia. Si deve a lei, e al marito regista Shin Sang-ok, una delle rare registrazioni della voce di Kim Il Sung, il dittatore nordcoreano padre di Kim Jong Il nonno dell’attuale leader Kim Jong Un.

Fu proprio Kim Il Sung, in quanto capo della propaganda politica e quindi anche del cinema nordcoreano, ad ordinare il rapimento della donna nel 1978.

All’epoca lei e il marito persero il favore del dittatore sudcoreaeno Park Chung-hee e, nella ricerca di un canale per poter fare altri film, furono rapiti mentre si trovavano a Hong Kong.

L’attrice venne sedata e portata in nave in Corea del Nord dopo otto giorni di navigazione. All’arrivo ad attenderla trovò Kim Jong Il, padre dell’attuale dittatore. In seguito venne sequestrato anche Shin, che si era recato a Hong Kong sulle tracce della moglie (da cui all’epoca era separato).

Choi rimase prigioniera della Corea del Nord per otto anni. Non visse la dura esperienza del carcere, come capitò al marito. Dopo un po’ di tempo in quelle condizioni i due capirono che l’unica speranza per tentare la fuga era collaborare. La coppia iniziò così a girare film a pieno ritmo. Ne realizzarono una decina, tra i quali il capolavoro del cinema nordcoreano, Pulgasari.

In un’intervista del 2011, Choi aveva raccontato che il dittatore “ci rispettava come artisti e ci sosteneva in pieno”. Ma lei non avrebbe mai perdonato “l’oltraggioso e vergognoso rapimento”, pur ammettendo che il leader nordcoreano, un cinefilo, aveva permesso loro di fare “film con valore artistico, invece di film di sola propaganda che lodassero il regime”.

In ogni caso, il dittatore consentì all’attrice e al regista di fare alcuni viaggi all’estero, come al Festival di Mosca e a quello di Vienna. E fu proprio nella capitale austriaca che i due, grazie all’aiuto di un giornalista dell’agenzia di stampa giapponese Kyodo, riuscirono a fuggire, riparando nell’ambasciata degli Stati Uniti.

“Avevo ancora l’incubo di essere catturata dagli agenti nordcoreani”, raccontò in un’intervista del 2015. “Quando arrivai all’ambasciata e mi fu detto ‘benvenuta all’Ovest’ scoppiai a piangere. Non riuscivo a smettere di piangere”.

C’era solo un dubbio: per la Corea del Sud la storia di Choi e Shin era poco credibile, e i due venivano considerati traditori che erano andati volontariamente in Corea del Nord. Ma l’attrice tirò fuori una prova inconfutabile: lei e il marito erano riusciti a registrare di nascosto una conversazione con Kim Jong Il in cui il dittatore ammetteva il rapimento.

Dopo un periodo negli Stati Uniti la coppia rientrò in Corea del Sud nel 1999. Nel 2006 morì Shin, risposato da Choi dopo il divorzio, e adesso se n’è andata anche lei.