Django Unchained, Tarantino omaggia Leone: spaghetti western in salsa pulp

Pubblicato il 23 Gennaio 2013 - 00:26 OLTRE 6 MESI FA

Tre anni dopo il successo di Inglourious Basterds, l’enfant terrible di Hollywood torna sul grande schermo con l’intento di rendere omaggio allo spaghetti western di “Leoniana” memoria, genere a lui caro come si era facilmente intuito in Kill Bill II (2004).

La storia è ambientata in Texas, nel 1858, due anni prima della Guerra Civile. Lo schiavo nero Django, interpretato dal premio Oscar Jamie Foxx, viene liberato dal sedicente dentista King Schultz alias Christoph Waltz, un cacciatore di taglie originario della Germania. Tra i due nasce un’improbabile collaborazione dettata da un preciso motivo: allo stravagante Schultz occorre l’aiuto di Django per rintracciare due fratelli, entrambi assassini, sui quali pende un’elevata taglia. Col passare dei giorni, il tedesco dopo aver trasformato Django in un infallibile pistolero decide di aiutarlo a ritrovare la moglie Broomhilda (Kerry Washington), venduta come schiava nella piantagione di Candyland. Ed è qui che i due avranno modo di incontrare lo spietato proprietario terriero Calvin Candy, impersonificato da un istrionico Leonardo DiCaprio.

La scelta della trama è ovviamente un omaggio al Django (1966) di Sergio Corbucci e più in generale a tutta la tradizione dello spaghetti western. Oltre a riutilizzare la stessa canzone eseguita da Rocky Roberts nella pellicola di Corbucci e ospitare l’originario protagonista Franco Nero in un divertente cameo, Tarantino recupera non a caso anche They call me Trinity di Franco Micalizzi, colonna sonora di Lo chiamavano Trinità (1970). Il tutto potrebbe così apparire un pantagruelico omaggio al cinema western italiano (siamo oltre le 2 ore e quaranta di proiezione) ma al di là delle intenzioni sbandierate da Tarantino ci troviamo dinanzi ad una pellicola molto più vicina come atmosfere – viste le abbondanti scene di violenza – alla cinematografia di Sam Peckinpah rivisitata in chiave pulp. Tralasciando le innumerevoli fonti d’ispirazione dell’autore (Sergio Leone su tutti), Django sembra oscillare continuamente tra il film parodia – frutto dell’esasperata ostentazione d’amore del regista per i b-movies – e una pellicola “colta”, complice l’innegabile maestria tecnica del papà de Le Iene. Django Unchained costituisce in tal senso l’apoteosi citazionista e autoreferenziale di Tarantino.

Il vulcanico Quentin sin dai primi minuti di proiezione non risparmia nulla del suo caleidoscopico repertorio: virtuosismi estetici, sangue, violenza parossistica, dialoghi frenetici e cinica ironia. Ma rispetto alle precedenti opere, stavolta il giocattolo di Tarantino non sembra funzionare alla perfezione. La prima parte del film, nonostante si svolga quasi interamente in ambienti esterni – fatto davvero insolito per il cinema tarantiniano -, sorprende lo spettatore per coerenza narrativa e drammaticità degli eventi narrati. Nella seconda parte della storia, Tarantino sembra invece dimenticarsi dell’importanza della trama per dar sfogo esclusivamente alla sua vena creativa. Tutto diventa esasperato, dalle sparatorie ai repentini colpi di scena, trasformandosi in un pulp western sicuramente divertente ma tutt’altro che emozionante. L’intensità delle scene ammirate nei primi sessanta minuti di proiezione lascia gradualmente il posto ad un sofisticato b-movie. La tensione degli eventi narrati cala vistosamente ma a Tarantino non sembra importare più di tanto.

Il re del pulp è troppo preso a farsi beffe di tutti i clichè del genere western (un cowboy nero, l’allegoria politica, proiettili a go-go, battute razziste) tramutando Django in un vertiginoso revenge movie contaminato da reiterati omaggi alla blaxploitation. E purtroppo il rischio che il buon Quentin, in diverse scene, sia caduto nel puro esercizio di stile è molto più che una sensazione. Tutto è sopra le righe, dall’eccezionale cast – inarrivabile Samuel L. Jackson nei panni del diabolico Stephen – alla colonna sonora dove spicca la splendida “Ancora qui” scritta da Elisa ed Ennio Morricone. Ma si sa l’universo di Tarantino è così, prendere o lasciare. Ironico, violento, demenziale, a tratti davvero geniale. Di certo non il miglior Tarantino di sempre. Ma a suo modo imperdibile.