Lina Wertmuller muore a 93 anni: non era malata. La camera ardente a Roma al Campidoglio, la carriera

di Lorenzo Briotti
Pubblicato il 9 Dicembre 2021 - 14:13 OLTRE 6 MESI FA
lina wermuller, foto ansa

Lina Wertmuller muore a 93 anni: non era malata. La camera ardente a Roma al Campidoglio, la carriera. Nella foto Ansa con Sofia Loren

Lina Wertmuller è scomparsa nella mattinata di oggi, giovedì 9 dicembre, a 93 anni. La causa della morte della prima donna candidata all’Oscar va ricercata nella sua età: non risultano infatti malattie contro cui la Wermuller stesse combattendo. L’unica cosa nota erano i suoi problemi con il sonno.

Lina Wertmuller era nata nel 1928

Anircangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich (questo il suo  nome  completo) era nata il 14 agosto del 1928 a Roma. Grazie alla regia del film “Pasqualino Settebellezze” fu la prima donna candidata all’Oscar. Nel 2019 ne vinse invece uno alla carriera. 

Camera ardente in Campidoglio 

La camera ardente sarà allestita in Campidoglio. La notizia è stata data dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri che in un tweet la ricorda come “una grande regista che ha realizzato film densi di ironia e intelligenza, la prima donna candidata all’Oscar per la miglior regia”.

Chi era Lina Wertmuller

Lina Wertmuller aveva un carattere deciso di chi non ha mai nascosto le sue idee. “Ho sempre avuto un carattere forte fin da piccola”, raccontava di sé. “Sono stata addirittura cacciata da undici scuole e sul set ho sempre comandato io. Sono andata dritta per la mia strada, scegliendo sempre di fare quello che mi piaceva”.  

Oltre ad essere prima donna ad ottenere una nomination come migliore regista ai tempi di “Pasqualino settebellezze” (1976) che ne totalizzò ben quattro, è stata la prima donna ad avere successo in tv ai tempi degli “sceneggiati” con la trionfale accoglienza del “Giornalino di Giamburrasca” (1964-65).

A 17 anni si iscrive all’accademia teatrale di Pietro Sharoff, debutta come regista di burattini con la guida di Maria Signorelli, scrive per la radio e la televisione mettendo in mostra un estro surreale e comico che sarà la sua arma vincente, va a scuola di cinema da Fellini sui set di “La dolce vita” e “8 ½”, collabora alla prima Canzonissima della Rai e quando debutta nel lungometraggio con “I basilischi” nel 1963 già vince la Vela d’oro del Festival di Locarno.

Il sodalizio con Rita Pavone e Giancarlo Giannini

L’anno dopo il sodalizio con Rita Pavone per “Il giornalino di Giamburrasca” ne fa d’un colpo una regista ricercata dai produttori. Nello stesso periodo incontra l’apprezzato scenografo teatrale Enrico Job con cui si sposerà, dividerà tutta la carriera artistica e adotterà la figlia Maria Zulima. Il suo primo, grande successo nel 1972, “Mimì metallurgico ferito nell’onore”, in cui per la prima volta fa coppia artistica con il suo protagonista per eccellenza, Giancarlo Giannini. Il film ha un travolgente successo in sala e si guadagna l’invito al festival di Cannes.

Di lei, Giancarlo Giannini racconta: “E’ stata la persona più importante che abbia incontrato nella mia vita. Senza di lei avrei fatto poco. (…) Lina Wertmüller è stata la mia vera maestra”. 

La sua mania per i titoli di lunghezza fluviale diventa in fretta un marchio di fabbrica, cosi’ come i vistosi occhiali bianchi, la battuta sferzante, la simpatia contagiosa. “Film d’amore e d’anarchia”, “Tutto a posto e niente in ordine”, “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”, “Pasqualino settebellezze” segnano in modo assolutamente personale il cinema italiano degli anni ’70 e ogni volta mettono d’accordo critica e pubblico.

Arriva un’accentuazione dei temi storici e politici che percorrono gli anni ’80 (da “La fine del mondo…”e “Fatto di sangue tra due uomini…” fino a “Notte d’estate…”).

Dall’inizio degli anni ’90 conosce un nuovo successo scommettendo su attori che plasma e trasforma secondo il suo gusto personale. Ecco allora il sodalizio con Sophia Loren per portare in tv un riuscito adattamento di “Sabato, domenica e lunedi’ ” da Eduardo e quello con Paolo Villaggio per “Io speriamo che me la cavo” dal romanzo-verità di Marcello D’Orta.

Ritorna due volte a fare coppia fissa con l’amica Loren, tenta l’affresco storico con “Ferdinando e Carolina”, rivisita i suoi personaggi tipici aggiornandoli con volti nuovi come Veronica Pivetti o Claudia Gerini. E’ sempre più attratta dalla cultura partenopea tanto da meritarsi la cittadinanza onoraria di Napoli e da debuttare al Teatro San Carlo con una felice regia della “Carmen” di Bizet. Si diverte anche in veste di doppiatrice per “Mulan” o come esponente dei “poteri forti” in “Benvenuto Presidente” di Riccardo Milani.

Non tutta la carriera è stata oro, scrive però Paolo Mereghetti sul Corriere.