“Nine” di Rob Marshall: ”Nel mio musical su Fellini donne, sogni e ossessioni”

Pubblicato il 16 Novembre 2009 - 12:26 OLTRE 6 MESI FA

Fergie dei Black Eyed Peas, fra le interpreti di "Nine"

Fergie dei Black Eyed Peas, fra le interpreti di "Nine"

«Se dovessi definire il mio “Nine”, direi che racconta le ossessioni, le fantasie, il travaglio intellettua­le di un regista e artista, Guido Contini, l’alter ego di Fellini e quindi del suo Mastroianni in 8 e 1/2 ».

Rob Marshall, il 49enne regista di “Chicago” e “Memorie di una geisha”, sembra riflettere: «Il film ha una doppia andatura. Una è reale, nella Roma della metà degli anni Ses­santa, l’altra è quella delle fantasie di Guido per le donne amate o desiderate. Non si tratta di un remake del film di Fellini, ma della sua reinvenzione, a par­tire dal successo che ha avuto il musical “Nine” a Broadway, fin dalla sua prima rappresentazione nel 1982 con Raoul Ju­lia, e poi nel 2003 con Antonio Bande­ras». Così scrive il critico cinematografico del Corriere della Sera, Giovanna Grassi.

Ma — anche se a firma di un grande regista come Marshall e di sceneggiato­ri, star, autori e tecnici di somma fama e già quasi tutti vincitori di Oscar — è pos­sibile imitare o riprodurre il mondo e l’immaginazione di Fellini, la complessi­tà del suo 8 e 1/2 , la memoria dei sogni della Cinecittà degli anni Sessanta e l’ita­lianità della Dolce Vita? Molti a New York si sono posti l’interrogativo al ter­mine della prima e attesissima proiezio­ne (l’uscita Usa è prevista a Natale, da noi il 22 gennaio), mentre sul web già si accendono le fazioni e si legge: «Sarà una americanata priva di gusto» e c’è già chi incita «a una protesta del mondo intellettuale italiano e di chi ha amato il visionario Federico».

A Hollywood si maligna pro e contro il film prodotto tra gli altri da Harvey Weinstein, che spera di portare la pelli­cola alla vittoria di alcuni Oscar. «Per­ché — dichiara il produttore di “Shake­speare in love” — se il musical ha una matrice americana autenticamente po­polare, il film ha una verità di umori e sapori radicata nello spirito, nella cultu­ra, nella vita di un’Italia del passato, che tutti ancora sognano».

La platea si è subito divisa in adorato­ri o in critici di Daniel Day Lewis nel ruo­lo di Contini, figlio della nostra Loren, «la Mamma», che (defunta da tempo) ri­torna sullo schermo nel ricordo del bim­bo di nove anni Guido.

Da qui il titolo “Nine” dovuto, però, an­che al fatto che Federico aveva conces­so i diritti, ma vietato l’uso di quello del suo film. La storia del musical, che al­l’ombra di 8 e 1\2 ha nutrito anche la creatività di Bob Fosse per All That Jazz e di Woody Allen per Stardust Memo­ries , è infatti lunga. Affonda nel succes­so di Broadway firmato da tre autori, l’italiano Mario Fratti, l’americano Ar­thur Kopit, l’autore delle musiche e del­le liriche Maury Yeston; gli ultimi due hanno collaborato anche al film di Mar­shall, ma la nuova sceneggiatura è stata scritta da Anthony Minghella e Michael Tolkin.

Mamma Loren è tutta colori e corset­ti in uno dei numeri delle donne che po­polano la fantasia di Guido. Sophia è fe­lice di questo film: ribadisce che «Fede­rico era un artista in tutti i sensi. Per lui i sogni e la vita a imitazione dell’arte, o viceversa, si confondevano. “Nine” è una festa per gli occhi nei numeri musicali e di danza. Per la mia Mamma, Ye­ston ha composto uno dei tre nuovi motivi, “Guarda Luna”. Era sempre stato un miraggio per me interpreta­re un musical hollywoodiano».

Racconta Daniel Day Lewis, che nel­la prima sequenza appare in bianco e nero mentre, solitario, si siede angoscia­to nello studio 5 di Cinecittà, dove già è avviata la macchina del suo nuovo film intitolato «Italia»: «I flashback in bian­co e nero di Guido riportano i suoi freu­diani travagli. Si accendono di colori nei numeri musicali, che hanno come pri­me attrici le donne della sua realtà o del­la sua fantasia».

Ecco, quindi, l’amante Carla (Penélo­pe Cruz) tentare il suicidio, ma anche ballare e cantare «A call from the Vati­can » (nel film ci sono anche cardinali e pretini); l’amata, ma sempre tradita moglie Luisa (Marion Cotillard, che can­ta «My husband makes movies» ed è la vera co-protagonista); la diva-divina Claudia Jensen (Nicole Kidman) che è una sorta di Anita Ekberg con qualcosa di Brigitte Bardot, Sandra Milo e Monica Vitti, un’apparizione nel suo numero «Unusual Way».

L’animalesca Saraghina è una stu­pefacente Fergie e canta anche il motivo finale «Be Italian» (vivi l’oggi come se fosse il tuo ultimo giorno) mentre Donatella (Marti­na Stella) è suggerita per il cast dal tuttofare Dante (Ricky To­gnazzi). La giornalista di moda (Kate Hudson) si rivela una fan di Guido ossessionandolo con il motivo «Cinema italiano». La costumista e matura amica di sempre, Lilly, quasi una secon­da mamma, stupirà tutti con una Judi Dench nel suo numero ambientato alle Folies Bergère. Penélope suggerisce appassiona­tamente: «Carla è vulnerabile, ma consapevole, come la mo­glie del suo amante, che Contini nutre con segreta energia delle sue fantasie per le donne e dei suoi incon­tri con loro».

Marshall sottolinea che il film, con auto d’epoca e tutto il nostro gla­mour di abiti, scarpe e alberghi, ri­porta l’eleganza dell’Italia di ieri, con Via Veneto, i Fori, il Colosseo». E Guido Contini, in una dolorosa se­quenza, passandosi le mani nei ca­pelli imbiancati nel suo ritiro ad An­guillara, osserva: «Ho distrutto, for­se, tutto» .