“The Counselor”, l’avidità secondo Cormac McCarthy

Pubblicato il 23 Gennaio 2014 - 18:56 OLTRE 6 MESI FA

counselorSiamo in una cittadina del Texas, a pochi chilometri dal confine messicano. Un giovane avvocato (Michael Fassbender), innamorato della sua fidanzata Laura (Penelope Cruz) e sul punto di sposarla, è quantomai deciso a tentare il colpo della vita. Così, pur di arricchirsi, accetta la proposta di Reiner (Javier Bardem), un suo vecchio cliente legato al cartello della droga locale. Il piano è semplice: partecipare al trasferimento a Chicago di un ingente carico di cocaina e ricavarne venti milioni di dollari. Purtroppo per loro, la partita di droga viene inaspettatamente rubata. I narcos messicani giurano vendetta e l’avvocato si ritrova coinvolto in un’ incontrollabile spirale di violenza. La sua vita di uomo normale viene completamente distrutta, nell’indifferenza dei suoi soci d’affari, gente priva di scrupoli come i personaggi interpretati da Brad Pitt nei panni dell’intermediario con look da cowboy Westray e di Cameron Diaz, nel ruolo della perversa Malkina.

La prima sceneggiatura originale di Cormac McCarthy – scrittore premio Pulitzer autore di best-seller come The Road e Non è un paese per vecchi – non delude certo le attese, dando vita ad uno script complesso e carico di suspence. Nelle mani di un regista esperto come Ridley Scott, la storia di McCarthy assume progressivamente l’aspetto di una moderna tragedia greca dove l’eroe viene travolto dagli eventi, pagando oltre ogni aspettativa una colpa non sua.

The Counselor è pervaso fin dai primi minuti di proiezione da un profondo senso di inquietudine, perfettamente reso da una trama priva di momenti morti. I dialoghi e gli articolati monologhi dei protagonisti sono perfettamente soppesati, il tutto per dipingere con estremo realismo una tetra parabola sull’avidità umana. Il fine ultimo di Ridley Scott è fotografare un mondo dominato dall’insensatezza, dove la vita e la morte sono decise da forze invisibili – il cartello della droga che assume in tal senso il ruolo del fato  secondo lo schema della tragedia classica -, estranee ad uomo “normale”, come l’avvocato interpretato da Fassbender. Siamo di fronte ad un noir filosofico, capace di tramutarsi in un thriller macabro nei momenti in cui Scott decide di accentuare il lato pulp della sceneggiatura di McCarthy. E nonostante i personaggi non siano caratterizzati fino in fondo, la trama sembra non risentirne affatto. La storia funziona alla perfezione, complice un cast di vere all-stars (da applausi la performance offerta da Cameron Diaz). Tra ville lussuose, tramonti desertici e scene stranianti – la spaccata della Diaz sul Ferrari è già un cult -, lo spettatore sarà catapultato in un microcosmo senza speranza, abitato esclusivamente da prede e predatori, dove – come recita Malkina – ”il massacro che verrà supererà la nostra immaginazione”. Un thriller sensuale, atipico, violento. Molto più di uno sfarzoso puzzle cinematografico come è stato bollato da alcuni critici. Cormac McCarthy, il cantore della frontiera, si conferma a 80 anni suonati la miglior penna al servizio di Hollywood.  Una pellicola, nel complesso, davvero ben riuscita.