“The Grey”, Liam Neeson balla coi lupi

Pubblicato il 14 Dicembre 2012 - 17:38 OLTRE 6 MESI FA

Siamo in Alaska. John Ottway (Liam Neeson) lavora per una raffineria dispersa tra i ghiacci con una mansione alquanto singolare: sparare alle bestie selvatiche – in particolare lupi – che si avvicinano troppo agli operai della ditta petrolifera. L’uomo, affranto dalla prematura scomparsa della moglie e costretto a dividere la giornata con ex carcerati e derelitti di ogni risma, sembra aver perso qualsiasi speranza. Dopo un mese di lavoro, il cecchino insieme a decine di operai sale su un aereo per tornare a casa ma una tormenta di neve fa precipitare il velivolo. Il protagonista si salva miracolosamente assieme ad altri sei colleghi. Ma i superstiti, sperduti tra montagne inaccessibili, si ritrovano a fare i conti con l’implacabile gelo della tundra ed un branco di lupi famelici…

Tratto dal racconto “Ghost Walkers” di Ian Mackenzie Jeffers, coautore della sceneggiatura insieme al regista Joe Carnahan, “The Grey” è un film ben congeniato, capace di spingersi ben oltre la prevedibilità del genere survival. La pellicola di Carnahan – costata ben 25 milioni di dollari e record d’incassi in Usa – costituisce infatti un dramma di assoluto spessore, con un ritmo ed una fotografia davvero fuori dal comune. Il senso d’inquietudine generato dalla desolazione dei paesaggi innevati e la progressiva descrizione del dramma interiore vissuta dal protagonista avvolgono lo spettatore sin dalle prime inquadrature.

A differenza di tanti film sulla sopravvivenza (impossibile non pensare ad Alive citato anche in un dialogo tra i personaggi di “The Grey”), la crescente tensione dettata dal drammatico susseguirsi degli eventi è gestita con assoluta efficacia. Pur ricorrendo a trucchi visivi apparentemente scontati (gli occhi scintillanti delle belve, improvvisi ululati, primi piani delle fauci dei lupi pronti a sbranare), Carnahan si sofferma con bravura sulla descrizione delle emozioni vissute dai personaggi.

L’uso di flashback nel rievocare eventi e persone care, il tema della fede, il senso di fratellanza generato dalla lotta per la sopravvivenza sono tematiche affrontate con grande equilibrio nonostante i quasi 120 minuti di proiezione. Complice la bravura di un eccellente Liam Neeson – coadiuvato da attori di livello come Frank Gallo (l’allenatore zen di “Warrior”) e Dermot Mulroney (già ammirato in “Qualcosa di straordinario”) – “The Grey” riesce a non banalizzare il topos narrativo dello scontro tra uomo e natura selvaggia, dipingendo un drammatico viaggio verso una salvezza irraggiungibile.

Il personaggio interpretato da Neeson assume nel corso della narrazione le sembianze dell’eroe guerriero, pronto a sfidare il lupo – animale totemico per eccellenza nella cultura occidentale – per misurarsi con la morte, con l’ineluttabile precarietà e l’insensatezza stessa della vita (“vivi e muori in questo giorno” è la frase ripetuta da Ottway nei momenti cruciali del film). Lo scontro tra i due branchi – quello dei lupi e quello umano guidato dal capobranco Ottway – è scandito da scene al limite dell’horror, dove il regista riesce a miscelare alla perfezione effetti speciali (firmati dal duo Howard Berger e Greg Nicotero) e tensione scenica senza perdere in credibilità.

La violenza visiva non viene mai spinta all’eccesso, pertanto la struttuta narrativa di “The Grey” risulta quantomai compatta. E contro ogni previsione, il meglio della pellicola è racchiuso proprio nel poetico finale assolutamente anti-hollywoodiano. L’azione lascia infatti il posto ad una riflessione sulla natura umana, sulla sua debolezza e il suo atavico bisogno di religiosità. Per questo il film di Carnahan va considerato a tutti gli effetti un racconto drammatico e disperato più che un semplice animal attack movie stile lo “Squalo” di Spielberg o “Il Branco” di Clouse. L’ottimo cast, la fotografia e i sorprendi panorami della British Columbia canadese fanno il resto. Cupo, romantico, opprimente e teso fino alla fine. Davvero imperdibile così come l’ultima scena inserita dopo ben sette minuti di titoli di coda. Sconsigliato agli animalisti più convinti e ai deboli di cuore. Per tutte le altre categorie di spettatori sarà un’autentica sorpresa.