Antonio Ricci come Belpietro, Strasburgo: “Italia, no carcere a giornalisti”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 8 Ottobre 2013 - 16:53 OLTRE 6 MESI FA
Antonio Ricci come Belpietro, Strasburgo: "Italia, no carcere a giornalisti"

Antonio Ricci (Foto Lapresse)

STRASBURGO – Se un giornalista viola il diritto alla privacy va sanzionato, ma non con la prigione: dopo il caso di Maurizio Belpietro la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo interviene anche sulla vicenda di Antonio Ricci. E per la seconda volta in meno di due settimane condanna l’Italia per aver inflitto una pena detentiva ad un giornalista. Stessa pena che è stata inflitta più di recente anche a Francesco Gangemi, in carcere a 79 anni per diffamazione a mezzo stampa. 

Martedì 7 ottobre la Corte si è pronunciata sulla condanna a 4 mesi di carcere (poi sospesa) ad Antonio Ricci per aver trasmesso su Striscia la Notizia immagini”confidenziali” captate sulle frequenze Rai.

I fatti risalgono al 1996, quando Ricci mandò in onda su ‘Striscia la notizia’ le immagini di un fuori onda Rai. Un video che mostra la conduttrice di ‘L’altra edicola’ mentre scopre che i suoi collaboratori non hanno chiesto a Gianni Vattimo una liberatoria per mandare in onda un litigio tra lui e Aldo Busi durante la registrazione della puntata. La conduttrice afferma inoltre di aver invitato Vattimo e Busi solo per farli litigare per fare audience.

Per aver trasmesso il fuori onda Rai, Ricci è stato poi condannato in tutti e tre i gradi di giudizio perché riconosciuto colpevole della violazione del’articolo 617 ‘quater’ del codice penale, quello che vieta l’intercettazione e la trasmissione di comunicazioni confidenziali.    

Martedì la Corte di Strasburgo ha stabilito che Ricci, come Belpietro, ha in effetti infranto la legge, e quindi andava condannato, ma non a una pena detentiva, anche se poi sospesa. Secondo i giudici l’Italia ha violato quindi il diritto di Ricci alla libertà di espressione, perché, condannandolo alla prigione, gli ha inflitto una pena non proporzionata. La Corte ritiene che l’infrazione commessa da Ricci non presenti nessuna delle circostanze eccezionali che giustificano il ricorso a una pena detentiva. La Corte non ha però riconosciuto alcun risarcimento a Ricci, che aveva chiesto 50 mila euro da destinare al gruppo Abele di Don Ciotti.