Luca Mongelli, vissuto due volte. In coma per l’odio anti-italiano

Pubblicato il 19 Dicembre 2011 - 09:36| Aggiornato il 30 Gennaio 2012 OLTRE 6 MESI FA

Luca Mongelli

GIOVINAZZO (BARI) – Luca Mongelli oggi ha 16 anni e vive a Giovinazzo, in provincia di Bari, con la mamma Tina e il padre Nicola, ma la sua prima vita è finita il 7 febbraio del 2002, quando di anni Luca ne aveva sette, in mezzo alla neve di Veysonnaz, nella Svizzera vallese.

Lì quel giorno, ricorda Goffredo Buccini sul Corriere della Sera, un’aggressione lo ridusse in fin di vita, o peggio. Trovato nudo nella neve, i vestiti piegati accanto, segni come di frustate sulle natiche, Luca venne dato per morto dai medici dell’ospedlae Sion. Il padre aveva anche già firmato per l’espianto degli organi, ma la fede della madre ebbe ragione, e Luca si risvegliò dal coma.

Tra tetraparesi e cecità, i medici svizzeri dissero che a ridurlo così, spogliato e con frustate addosso, senza neppure l’ombra di un morso, scrive il Corriere, era stato il suo cane Rocky, un pastore tedesco di sei mesi, poi soppresso.

A quella versione i genitori di Luca non hanno mai creduto, forse nessuno ci ha mai davvero creduto. Del resto era stato lo stesso Luca a dire alla madre, il 28 maggio del 2002, dal suo letto d’ospedale cinque giorni dopo essersi svegliato dal coma: “Mamma, trovate i ladri, c’è un signore che m’ha spinto, c’hanno paura di andare in prigione”.

Ma quei “ladri”, che hanno costretto ora Luca a tre ore di fisioterapia al giorno, nel garage trasformato in palestra, e ad una vita passata sulla sedia a rotelle, ancora oggi non hanno un volto.

L’inchiesta, scrive Buccini, “sembra una burla, nutrita di pregiudizi anti-italiani, avvelenata da errori grotteschi (sbagliarono perfino a identificare la scena dell’aggressione e, quando andarono nel posto giusto, tutte le orme erano cancellate o confuse da quelle dei curiosi)”.

In quel filmato di diciotto minuti raccolto dalla madre, Luca racconta una persecuzione che chissà da quanto durava “«mi facevano bere le formiche”, “io andavo in bici e quello in bici, io alle corse e lui alle corse…”. Il fratellino minore Marco, che durante l’aggressione era rimasto nascosto dietro un albero, disegnò poi a scuola la scena di tre ragazzi grandi, di buona famiglia, che infierivano sul fratello maggiore.

Luca e Marco indicarono i colpevoli sin dall’inizio, ma per i giudici Luca non era attendibile perché la sua mente era danneggiata, e Marco non lo era perché troppo piccolo.

Il 7 febbraio dell’anno prossimo scadono dieci anni, scatta la prescrizione, e i genitori di Luca si appellano al ministero degli Esteri perché “chieda agli svizzeri di riaprire l’inchiesta. Luca merita la verità”